“Fisica della malinconia” di Georgi Gospodinov

Un bambino affetto da una particolare condizione clinica sperimenta nella propria infanzia episodi di estrema empatia che lo portano a percepire le sensazioni – e in qualche modo a rivivere le esperienze – di chi lo circonda, o anche dei personaggi di cui legge nei libri.

Questa è più o meno la trama della Fisica della malinconia di Georgi Gospodinov, un oggetto narrativo non identificato che solca il cielo della letteratura lasciandosi dietro una coda luminosa di detriti e spunti disomogenei.

Partiamo dalla prosa: la lingua di Gospodinov è precisa e ricorsiva eppure pulita, persino elegante nel suo scorrere piacevole fra le parti di un romanzo che in fondo non è assolutamente un romanzo. Come potrebbe esserlo, d’altronde, con queste premesse?

La vista di Gospodinov e quella del suo protagonista sconfinano infatti fra frammenti di lunghezza variabile che si incastrano a formare un mosaico in cui si percepisce materialmente la compresenza di tempi e persino di realtà diverse: dai ricordi infantili di suo nonno ai segreti custoditi in seno a una vecchia guerra, dall’ immedesimazione con gli animali all’analisi della figura seducentemente borgesiana del Minotauro, Gospodinov ci porta a sbirciare dentro il prisma colorato e assurdo ch’è la sua mente, capace allo stesso tempo di costruire mondi e realtà parallele, di abitare di volta in volta una storia diversa e di condurre un’accurata speleologia di sé, addentrandosi con passo cauto fra le pieghe della propria storia individuale e percorrendo fino in fondo lo spericolato crinale che dà sulla storia collettiva, sulla politica, sullo spirito dei tempi di un determinato momento storico.

Gospodinov ci parla innanzi tutto dell’umanità, catturata in un fermo immagine mentre è in bilico fra moderno e postmoderno – un’umanità segnata da velleità spaziali e conflitti terreni, da religione e politica, da progetti abortiti e sogni strampalati. Ci parla anche di dimensioni più contenute, di veterinari vegetariani, di nonne superstiziose, ci parla della Bulagaria e degli altri paesi che hanno fatto da sfondo alla sua esistenza. Il suo Paese – nei ricordi, nella rêverie di uno scrittore aduso a collezionare storie – è tanto materiale quanto surreale e si compone di elementi dissonanti che trovano, nello sgorgare impari delle vicende, la loro giusta collocazione per far scorrere al meglio l’intreccio di voci che costituiscono il flusso principale della narrazione.

La struttura prescelta è qualcosa che supera brillantemente i canoni e le convenzioni della prosa: i paragrafi cambiano bruscamente tono e registro, diventano saggi o fantasticherie o brandelli di romanzo e si adagiano sulla pagina fra immagini e dialoghi e idee ripiegate come documenti importanti dimenticati da tempo nel taschino: Gospodinov arreda con questi ritagli il suo spazio, una sorta di capsula del tempo letteraria in cui prova a racchiudere veramente tutto ciò che ha costituito la sua vita di uomo.

Qual è il risultato?

È difficile capirlo anche dopo aver finito il libro. La lettura come il fumo di pipa rimane a lungo in bocca, cambia sapore, si trasforma in una persistenza che acquisisce nuove dimensioni mano a mano che il tempo e gli altri sapori passano e si sedimentano sulla lingua.

Resta la bellezza abbacinante di alcune pagine, di alcune frasi lapidarie e perfette:

Dio è un insetto che ci guarda. Solo un essere piccolo può essere in ogni luogo.

Resta un gioco di specchi sottile fra lo scrittore e il narratore – sono gemelli, è la stessa persona? – e ancora tra il narratore e l’amico Gaustìn, impalpabile e sognatore, viaggiatore del tempo, doppelgänger.


Accoppiamenti giudiziosi

Il libro di Gospodinov mi ha richiamato alla mente un dipinto che William Kurelek dipinse durante la sua degenza presso il London’s Maudsley Hospital, significativamente intitolato The Maze, il labirinto.

William Kurelek, The Maze (1953)

Le analogie fra le due opere sono innumerevoli e i punti di contatto aprono considerazioni che probabilmente trascendono le intenzioni dei due diversi artisti ma che innegabilmente stabiliscono una connessione fra questi due originalissimi punti di rottura per le rispettive tradizioni artistiche.

Innanzi tutto traspare immediatamente il parallelismo fra il labirinto di Gospodinov, quello del Minotauro con cui il narratore entra empaticamente in contatto, e quello della mente di Kurelek, una selva di riquadri ossei in cui peraltro compare curiosamente proprio un toro.

Significativamente Kurelek prova a dare una forma grafica al proprio disagio mentale e parla di malattia laddove Gospodinov, con la chiave di un’anomalia mentale fantastica e realistica riesce a garantire al lettore un’esperienza di lettura trasversale che seziona i personaggi in una panoramica nitida ed emotivamente totalizzante, capace di convogliare contemporaneamente l’attenzione dei lettori verso punti focali radicalmente diversi.

In Fisica della malinconia ogni cosa appare mutevole, colta nel suo misterioso divenire e nella fragile bellezza di un tempo in perenne fuga: anche il libro cambia, diventa saggio e racconto, poesia e diario. Diventa soprattutto capsula del tempo, uno di quei congegni utilizzati a più riprese nella storia dell’uomo per provare a comunicare coi posteri (o con gli alieni…) attraverso una collezione di oggetti significativi: anche The Maze, visto da lontano, pare proprio una capsula del tempo in cui sono raccolti gli elementi chiave di una vita analizzabile sotto diversi profili: clinico, emotivo, politico, storico.

L’idea comune a entrambe le opere è quella di trovare un linguaggio universale che proceda dagli oggetti per assemblare un insieme di storie disorganico ma coerente, reale come lo può essere la visione distorta e trasognata del ricordo o dell’immaginazione che fa perdere di senso al tempo e riesce a garantire una panoramica su luoghi ed epoche diverse con uno solo profondissimo sguardo.

Gospodinov e Kurelek colgono tutto: l’organico e il caduco, il mistero dell’eterno, il labirinto della psiche umana e i vicoli della Storia e – sopra ogni altra cosa – la potenza dell’arte come senso e come metodo per provare a decriptare gli enigmi dell’esistenza umana e moltiplicare le vite e i punti di vista per raggiungere in qualche modo una forma di onniscienza e d’immortalità.


Fisica della malinconia

Georgi Gospodinov – Voland, 2013


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