Uno dei termini entrati nel vocabolario comune con l’avvento dei videogiochi di ruolo è quest.
Per quest s’intende abitualmente una missione, un compito affidato al giocatore che può assumere diversi risvolti e talvolta condizionare pesantemente il prosieguo dell’avventura. Scomponendo molti videogame di questo genere nelle loro componenti fondamentali, vedremmo che sono formati essenzialmente da quest principali e secondarie la cui risoluzione fa avanzare la trama.
Il termine però ha radici molto più antiche dei computer: deriva infatti dal francese quête, che indica un topos tipico alla letteratura romanza, quello della ricerca.
La quest o cerca del cavaliere era spesso configurata come un viaggio fisico, un’esplorazione finalizzata al reperimento di qualcosa di tangibile (il Santo Graal?) in grado di avere però anche significativi riflessi spirituali: viaggio iniziatico, pellegrinaggio ideale, perlustrazione di sé.
La modernità ha naturalmente eroso come molte altre cose anche la patina mistica di questo tipo di viaggio, ma la ricerca in sé, vista attraverso la lente deformante della letteratura più recente e dei videogame, continua ad essere uno strumento molto interessante per analizzare sé stessi e per intraprendere un percorso di elevazione: non a caso il meccanismo delle missioni è uno stratagemma utilizzato a fini videoludici proprio per evitare al giocatore di arenarsi in azioni ripetitive e a fini narrativi diviene talvolta un’occasione utile per approfondire, migliorare, potenziare il proprio personaggio.
Cosa resta però da esplorare in un mondo digitalizzato, postmoderno, mappato in ogni sua forma e dimensione?
La letteratura dell’ultimo secolo si è spesso interrogata su questo aspetto, arrivando a produrre sviluppi interessanti e originali in un’ottica ora introspettiva ora psicologica.
Roberto Bolaño ha deciso invece di farsi interprete di una vera esplosione del concetto di ricerca, dedicando il suo capolavoro I detective selvaggi a questo tema cardinale e sfuggente che attraversa, come una vena sommersa e preziosa, l’intera storia della letteratura mondiale.

Parliamo dunque di quest, di missioni.
La ricerca come viaggio, in Bolaño, assume i connotati epici di un viaggio che coinvolge fisicamente il mondo intero: i suoi personaggi vagano, si perdono, si incontrano, svaniscono. Il loro teatro è il Sud America, ma i loro spostamenti non si limitano ad un solo continente. La narrazione, sconfinata, si nutre di deserti mesoamericani e di capitali europee, di Africa e di luoghi solo immaginati, di cartine, di mappe, di libri perduti.
Come nei videogiochi, lo scopo non è tanto la ricompensa che verrà sbloccata al completamento della missione, è la missione in sé. I capolavori del genere si sono avvicinati sempre di più a questo miraggio, sviluppando mondi sempre più elaborati per rimarcare proprio il valore intangibile della ricerca stessa, che si compone di paesaggi, misteri, ambienti, sensazioni.
In una parola, esperienza.
La ricerca come esperienza evolutiva nasce nell’interiorità di ciascuno e prosegue nel mondo esterno (reale o virtuale): sono molto più importanti gli effetti collaterali, le esternalità positive che questo peregrinare genera in termini di conoscenza e ed esperienza vissuta.
I detective selvaggi si configura come un’opera anomala già a partire dalla struttura, frammentaria e tripartita, che si compone di due ali simmetriche – diaristiche, affidate alla penna di un giovane poeta di nome García Madeiro – e un corpo centrale fatto di brevi “interviste” ai personaggi secondari, che come un coro di voci diversissime ma ben abbinate riescono a dare risalto alle figure elusive dei due protagonisti: Arturo Belano e Ulises Lima.
Lima e Belano sono i fondatori di uno sgangherato movimento poetico che divampa in Messico negli Anni Settanta, il realismo viscerale. Ignorato, odiato, deriso, rinnegato, rincorso, questo cenacolo di giovani letterati perde membri e cambia connotati vorticosamente, mano a mano che la narrazione si srotola come un papiro indecifrabile attorno all’esperienza dei suoi selvaggi ideatori, persi nella ricerca della poetessa ispiratrice dell’intera corrente letteraria, Cesárea Tinajero, che sembra dispersa.
Ispirata a fatti reali o totalmente inventata, la storia del realvisceralismo è la storia della letteratura intera: prodotto di pazzi e sognatori, di idealisti, reietti, ribelli, la poesia è la figlia negletta dello struggimento e dell’irrequietezza di chi non si accontenta di un solo mondo in cui cercare il senso di tutto e avverte l’urgenza di creare, modificare, sprofondare.
Lima e Belano non parleranno mai in prima persona, la loro vita sarà nota ai lettori solo de relato, eppure costituiranno i cardini dell’intero romanzo perché con la loro ricerca sconclusionata arriveranno a comporre la loro opera maggiore: un esito non scritto, immateriale e collettivo, un canto di vita e morte in grado di valicare confini fisici e politici del mondo per dare finalmente un senso alla scrittura, alla poesia, all’esistenza stessa.
Accoppiamenti giudiziosi
La ricerca dei detective selvaggi continua nelle strade squadrate e nei vicoli mentali di Mark Bradford: l’artista americano ha elaborato uno stile personalissimo e subito riconoscibile che rende le sue opere monumentali veri e propri mondi in cui perdersi, fatti di strati in cui pittura, colle e strati di materiale strappato e impastato formano un’autentica cartografia dell’anima, capace di far coincidere mondo interiore ed esteriore in un’indagine ardita, illuminante.

Come in Bolaño, anche nei dipinti di Bradford la molteplicità e la stratificazione fungono da base per un’indagine esistenziale.
L’artista americano si perde in minuscole tortuosità e in angustie che ricordano tanto il corpo umano quanto un formicaio o un quartiere. Sono mappe del tesoro, le sue opere gigantesche e astratte? Sono dipinti o solo stimoli per lanciarsi in una ricerca che non avrà mai fine?
Bolaño e Bradford reinventano così il sempiterno topos della quest, spostando l’accento dall’oggetto ricercato al viaggio in sé, che per sublimazione diviene senza fine e senza scopo, trascendendo verso un’ideale di continua ricerca che corre parallelo alla vita stessa di ogni artista.
Non è forse l’attività dell’artista un continuo vagare fra ispirazioni e idee, all’inseguimento di un miraggio che solo occasionalmente si riesce a sfiorare?