“Dago red” di John Fante

Ogni tanto è necessario tornare alla propria dimensione. Leggere John Fante per me è proprio questo, un ritorno.

Ricordo quando ho iniziato a leggerlo, da adolescente, dalle copie di mio padre. Era un mondo così vicino da sembrare vero, infatti rammento ancora le storie di Arturo Bandini e di Henry Molise come se fossero vicende capitate direttamente alla mia famiglia. Mi chiedo se siano ricordi, racconti di qualche nonno o zio, letteratura. Tutto si confonde perché l’infanzia fa sempre così: ti ubriaca di colori e ti medica le ferite. Ci sono rimandi, parallelismi, personaggi che esistono a cavallo fra i libri di Fante e la mia vita reale (in fondo, cos’è reale?).

Da allora Fante per me è una liturgia: ci devono essere tutti gli strumenti, la giusta serietà velata di ironia, ci devono essere il silenzio e il freddo e il buio fuori dalla casa in cui mi trovo, in netto contrasto con la luce interna che si sprigiona dalle pagine illuminate.

John Fante

John Fante era il mio dio.

Lo pensiamo in tanti, ma per primo lo disse Bukowski, che convinse il suo editore alla Black Sparrow Press a ristampare i capolavori del suo maestro spirituale, ormai vecchio, cieco e con le gambe amputate a causa del diabete.

Le storie di John Fante sono così, come la sua vita: sono visioni familiari turbolente, scontri di teneri barbari, grandi cuori e grandi miserie che fanno sorridere e piangere con la stessa struggente intensità.

Da adulto lo ritrovo, è come quando si fa visita a un vecchio amico di cui si conserva la foto nel portafogli: è invecchiato, è cambiato? Ho paura come sempre quando rimesto qualcosa di sacro e trascorso. Apro le pagine del Meridiano del mio eroe (la copertina blu, le incisioni oro; come sei arrivato in alto, John, come sei bello sul cofanetto di cartone) e subito mi sento sciogliere. Dalle prime pagine, lo capisco subito, John Fante è lo stesso di sempre.

Ricomincio così a leggerlo dalle opere minori, con trasporto, a piccoli morsi come si degusta una pietanza rara e ambita. Parto dall’inizio, dai racconti. Ricomincio da Dago Red.

La sua storia è tutta qui, condensata nelle piccole narrazioni che l’hanno reso noto al pubblico delle riviste letterarie, prima del lavoro come sceneggiatore a Hollywood e del diabete, prima della riscoperta tardiva arrivata in Italia grazie a Marcos y Marcos.

Ci sono suo padre – l’alter ego letterario, il muratore abruzzese cocciuto e donnaiolo e irresistibilmente sbagliato – sua madre, la sua famiglia. Ci sono il quartiere, gli immigrati, l’America – sullo sfondo, in primo piano – e l’Italia dentro l’America, l’Italia intera con le sue lingue e la sua voglia di cambiare e di provarci.

Elliott Erwitt – New York City, USA, 1953 (© Elliott Erwitt / Magnum Photos)

Accoppiamenti giudiziosi

Dago Red è il nome che viene dato al vino rosso degli italoamericani. Deriva da un termine dispregiativo usato per riferirsi agli italiani oltreoceano: dago, da dagger, accoltellatore.

Non è un caso che Fante inserisca questa parola affilata nel titolo della sua raccolta di short stories. Essere italiani nell’America degli Anni ‘30 è qualcosa che resta conficcato e separa, amputandolo da un paese natio che sa tanto di terra straniera.

Fante ci porta dentro le Piccole Italie in giro per il globo, a partire proprio dalla sua America, e ci parla degli italiani di tutto il mondo coi loro melodrammi policromi e i loro soffritti, con gli stereotipi e la religione e la fame, il lavoro e l’onore e la dignità.

Il suo è uno sguardo puro e sconfinato, che avvolge e consola tutti come una madre e scava dentro le vite minuscole dei suoi personaggi per trovare, in mezzo al dolore e alla fatica, il luccichio di qualche diamante invisibile: sono sogni, è gloria, è fortuna?

Fante nei suoi racconti ci parla così della propria identità, divisa fra America e Italia, fra usanze secolari e tradizioni religiose, fra riso e pianto: con i suoi racconti e la sua memoria traccia insomma un autoritratto esattamente nitido e delicato, sfruttando i contrasti netti, giocando con il bianco e il nero come Elliott Erwitt nelle sue migliori fotografie.

Elliott Erwitt – Valdes Peninsula, Argentina, 2001 (© Elliott Erwitt / Magnum Photos)

Erwitt, considerato uno dei più grandi fotografi del XX Secolo, è vissuto proprio come Fante a cavallo fra Vecchio e Nuovo Mondo: nato a Parigi nel 1928, è cresciuto a Milano e quindi si è trasferito con la famiglia a New York e infine a Los Angeles.

Il suo sguardo, nel corso della sua lunghissima carriera da fotografo, si è posato con grazia e sottile ironia su una grande varietà di soggetti, che spaziano dagli animali domestici alle celebrità, passando da scene di vita quotidiana a curiosi giochi di prospettiva.

Ciò che maggiormente caratterizza il suo linguaggio è proprio l’uso – comune anche a John Fante – di un approccio ironico all’analisi dell’essere umano e delle sue emozioni: partendo da un’osservazione diretta e ravvicinata, entrambi sviluppano infatti una narrazione profonda e calda anche nel ristrettissimo spazio concesso da un racconto breve o da una sola fotografia.

Elliott Erwitt – Colorado, USA, 1955 (© Elliott Erwitt / Magnum Photos)

Le storie di Erwitt e Fante diventano così enormi scenari umani, che riescono a catturare, con leggerezza e amore, lo spirito dei personaggi e le loro contraddizioni, per dare spessore con la giusta prospettiva a tutto ciò che resta fuori dall’inquadratura.

La loro America è proprio così: ambivalente, divisa, irresistibile. È un insieme di scatti e di vite impresse su carta con un sorriso e uno stile subito riconoscibile, è un enorme quartiere rumoroso, è una famiglia che si allarga ancora e ancora sino a includere anche l’osservatore e a farlo sentire in qualche modo parte della stessa grandissima avventura.

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...