Ci sono storie che sin dalle prime parole si legano indissolubilmente a un elemento fisico. Raoul Schrott ha scelto la sabbia.
Leggendo il suo Deserto di Lop, pubblicato in Italia in un’interessante veste grafica da La Grande Illusion, ci s’imbatte subito nella sabbia intrappolata nel vetro di una clessidra, in Giappone.
Il libro segue i viaggi di attraverso i deserti del mondo. Il tempo è scandito dallo scorrere della sabbia e dal succedersi di tre donne che affiancano il protagonista in diversi momenti della sua vita: Francesca, Arlette, Elif.
Ma cosa resta della sabbia dopo che è volata via?
Il deserto è l’ambiente metafisico per eccellenza: sembra qualcosa di alieno, con la sua quasi assoluta mancanza di vita e la sinistra mobilità delle sue dune.
Ciò che affascina il protagonista è soprattutto la voce delle dune canterine, il loro canto selvatico e antichissimo lo porterà a viaggiare dovunque per inseguire qualcosa che nemmeno lui riesce bene a definire.
Nel frattempo perde tutto, si perde, si racconta.
L’autore ottiene così una prosa rarefatta, in bilico fra poesia, narrativa e saggistica, delicata ed effimera quanto un’impronta lasciata sulla sabbia.
“Il deserto di Lop” è un oggetto narrativo non identificato. È delicato e soffuso, ma ha la rara capacità di insinuarsi nel lettore e penetrare a fondo.

L’Edizione
L’editore italiano ha affidato l’allestimento grafico a Massimo Minoggio, che ha confezionato un oggetto al contempo prezioso e delicato.
È un libretto esile, con la copertina fatta di cerchi colorati su sfondo bianco. Dentro le pagine bianche si alternano a facciate completamente gialle su cui campeggiano le parole chiave della narrazione, in maiuscolo, in lingua originale.
Prendendo in mano il libro e facendo scorrere – come sabbia – le sue pagine, si possono subito intuire la raffinatezza del contenuto e l’amore incondizionato dell’editore per questo progetto coraggioso e anacronistico.
Accoppiamenti giudiziosi
C’è un deserto anche in Sardegna, uno dei più grandi d’Europa: si tratta del Deserto di Piscinas, a sud di Oristano.
In Sardegna, in fondo, c’è quasi tutto. Ci sono scogliere e spiagge, foreste di querce e macchia mediterranea, montagne, vallate, paludi, sorgenti. Ci sono anche vestigia civiltà antichissime come quella nuragica e testimonianze di tutti i popoli che sono passati per questa terra incantata.
Non sorprende quindi pensare alla Sardegna come a una terra per viaggiatori e sognatori. Una leggenda vuole che Dio, quando ebbe finito di creare il mondo, abbia impastato tutti gli elementi che erano avanzati e li abbia incollati in mezzo al mare, fermandoli sulla superficie della Terra col suo piede. Da qui deriverebbe l’estrema varietà di quest’isola ricchissima e discreta, nonché la sua caratteristica forma che può ricordare appunto l’orma di un piede.
In questo panorama complesso e variegato è vissuto anche un uomo che ha realmente provato a scoprire la voce delle rocce: Pinuccio Sciola.

Come il protagonista del romanzo di Schrott, anche Sciola ha viaggiato lontano dalla sua San Sperate per trovare materiali differenti con cui lavorare. È tornato con un bagaglio di rocce e con l’idea geniale delle Pietre Sonore.
La sua scultura ha infatti raffinato nel corso degli anni l’incisione delle pietre in lamine sottili, sino a renderle quasi strumenti musicali.
Visitando il suo museo – all’aperto, nel caldo torrido dell’estate cagliaritana – si può sentire la voce della pietra. Ci si aggira fra monoliti enormi e pesanti capaci però di risuonare con la sensibilità di violino.
La guida che ci ha accolto ci ha fatto sentire le vibrazioni della roccia anche con le mani. Come un deserto, le loro superfici erano calde e ruvide. Ognuna ha la sua consistenza, il suo carattere e il suo canto: ci sono pietre silenziose e pietre intonate, ci sono suoni sottili che sembrano canti di uccelli e schiocchi che ricordano il tintinnare dei campanelli.
La sensazione che lascia la visita al museo di Pinuccio Sciola è allo stesso tempo totalizzante e ipnotica. Quando si esce si ha l’impressione di sentire ancora, nei rumori attutiti della strada e del paese che lentamente vive, la nota acuta della pietra che vibra. Forse è la stessa voce che ha la sabbia del Deserto di Lop?
Le Pietre Sonore nel corso del tempo sono arrivate molto lontano, portando un pezzo di Sardegna in tutto il mondo. Sono ad Assisi e a Roma, sono state a Budapest, all’Avana, in Germania. Le immagino mentre si muovono con la grazia di granelli di sabbia sul globo, a piccoli salti languidi, per continuare ad insegnare l’arte dell’ascolto e propagare – come l’onda concentrica di un sasso gettato nell’acqua – un senso di comunione sempre più forte e viscerale con la nostra terra.