Lo spettro di Mishima ne ha combinata un’altra delle sue: dopo aver “perseguitato” il mentore Kawabata, è finito fra i bestseller a cinquant’anni dalla morte.
A garantirgli questo atipico primato è un romanzo fuori dagli schemi, che appare come un lampo di follia nella pur eclettica produzione artistica del grande scrittore giapponese: si tratta infatti di una storia uscita a puntate sulla versione giapponese di Playboy, un romanzo a episodi che spazia dall’hard boiled alla narrativa di spionaggio, passando attraverso l’assurdo, il surreale e anche l’horror con la stessa disincantata ironia.
“Vita in vendita”, questo il titolo con cui Feltrinelli l’ha portato in Italia, è stato salutato dal Giappone e dal mondo intero come una sorta di trovatello fortunato: prima della ribalta, nel 1968 era passato quasi sotto silenzio, negletto pure dal suo stesso autore che non guardava con particolare trasporto alle proprie opere “minori”, quelle escogitate principalmente per ragioni economiche.
Eppure questo romanzo, proprio grazie alla sua particolare commistione di generi, al suo gusto stranamente postmoderno e all’indubbia qualità della scrittura, è stato riscoperto tardivamente da critica e pubblico come un unicum interessante, in grado di gettare anche una nuova luce su una figura ingombrante e monolitica come quella di Yukio Mishima.
Nato a Tokyo nel 1925, Mishima ha sempre goduto a livello internazionale di una fama che l’ha reso più affine a un’icona che a un essere vivente: voce scomoda, anticonformista, nazionalista, indefesso interprete di un mos maiorum nipponico che mal digeriva l’occidentalizzazione del suo Paese, Mishima ha rappresentato un enigma difficile da risolvere anche per gli interpreti più attenti.
La sua stessa morte si è sublimata dallo stadio di cronaca a quello di vera leggenda e ha rappresentato in un certo senso il completamento ideale della sua vita e del suo lavoro letterario: dopo aver radunato un piccolo esercito personale e occupato l’ufficio di un generale dell’esercito di autodifesa, tenne un discorso che inneggiava alle tradizioni del suo Paese e praticò il seppuku, il suicidio rituale dei samurai.
Il ritratto che emerge dai suoi romanzi e dalla quadrilogia “Il mare della fertilità”, conclusa poco prima della morte, è un prisma con molte facce: quella di un attore, quella di un dandy in un certo senso dannunziano, quella di un bodybuilder, quella di un bisessuale, quella di un patriota tradizionalista, quella di un guerriero riemerso da un passato glorioso e perduto.
Ad accomunare queste anime diverse un nodo difficile da sciogliere: la morte.

Questo tema ritorna anche quale punto focale di “Vita in vendita”, in cui il protagonista, Hanio, sopravvive a un tentato suicidio e decide di mettere la sua vita in vendita.
Alla base di questa scelta, innesco di una serie di avventure sempre più rocambolesche e allucinate, non sussiste tanto una presa di posizione eroica come quella del suo autore quanto piuttosto una strisciante mancanza di senso.
Il Giappone che l’autore imprime su carta, con i modi disimpegnati e sgangherati del grande romanzo popolare, è quello prosternato dalla fine della guerra, diviso fra una modernità aliena e un passato arrugginito come la lama di una vecchia katana che non riesce più a tagliare.
Lo stesso motore della storia è una critica feroce alla modernità e al modo occidentale di considerare le cose più sacre: chi mai scambierebbe una vita con un po’ di denaro? Quale mondo storto e depravato è riuscito a generare una perversione di questo tipo?
Con il pretesto dell’avventura e dei suoi exploit pirotecnici, Mishima ci regala anche una bella variazione sul tema che lo aveva impegnato per tutta la vita, quello del suicidio. Se niente ha senso allora perché sforzarsi di sopravvivere? Perché non gettare tutto al caso?
Il nichilismo con cui questo protagonista affronta il suo destino sembra assurdo davanti alla granitica dignità di Mishima e alla sua vicenda umana, eppure apre squarci inediti sulla biografia di un autore fra i più controversi della storia moderna e sul suo rapporto con la morte, sua vera ossessione.
Le parti più intense del romanzo sono proprio quelle più introspettive, in cui grazie a un sottile gioco di toni sembra emergere dallo sfondo la voce dell’autore con la sua forza antichissima e viscerale: si materializzano così le paure, le indecisioni e anche l’irruenza di ogni essere umano che si trovi a meditare sul come darsi la morte volontariamente.
Allora cos’è il suicidio, per Mishima? Rifiuto di una vita divenuta inutile, gesto politico, estrema ribellione di un titano praticamente immortale?
Di sicuro “Vita in vendita” lo rende una sorta di porta oscura oltre cui ognuno ha la tentazione terribile di sbirciare. Il libro consente ai lettori proprio questa perversione proibita: spingersi con lo sguardo oltre la soglia opaca della morte per vedere, sempre e comunque, una prosecuzione tentatrice, in una raffica di episodi autoconclusivi ma strettamente concatenati l’uno all’altro.
Si può leggere, nello strano attaccamento alla vita che il protagonista dimostra ora involontariamente ora come vero e proprio terrore della morte, il lato più umano di chi proprio in quegli anni stava organizzando la propria fine come si organizza uno spettacolo a teatro.
Hanio non ha paura della morte, almeno inzialmente, ma proprio questo lo rende praticamente invulnerabile, consentendogli di uscire vivo da ogni situazione, anche quella più estrema.
È questo che c’è dopo la morte anche del più valoroso dei samurai?
Accoppiamenti giudiziosi
L’idea di sperimentare diverse morti è alla base anche di un meraviglioso documentario dedicato dalla regista Kirsten Johnson a suo padre.
“Dick Johnson è morto” ci racconta infatti, una per una, le possibili cause di morte di un vivissimo anziano che si sta avvicinando alla fine della propria vita accompagnato dalla figlia.

La regista, per esorcizzare l’enorme paura che vive quotidianamente accanto al genitore, ha scelto l’irrituale procedimento di inscenare, con la complicità di stunt-man, comparse e artifici cinematografici, le varie morti del vecchio Dick, vera anima dell’intera pellicola con il suo umorismo innato e le sue umanissime fragilità.
La leggerezza con cui questo tema soffocante viene affrontato e la sottile ironia che permea anche la più drammatica delle scene si avvicina molto agli esperimenti narrativi di Mishima in “Vita in vendita”: la continua ripetizione della morte, la suddivisione in episodi, l’apparente immortalità diventano pretesto per una trattazione accessibile e spontanea di un tema difficile.
Come Mishima in questo stranissimo romanzo d’appendice, anche Dick Johnson non ci appare come un personaggio risolto, riappacificato con l’idea della propria fine, ma come un uomo reale, che grazie all’arte riesce a raccontarci con schiettezza e un pizzico di black humor l’inevitabile fine della vita di ogni essere umano.

Vita in vendita
Yukio Mishima – Feltrinelli, 2022