“Storie di ordinaria follia” di Charles Bukowski

Chissà cosa penserebbe il vecchio Hank della sua seconda vita, quella post mortem, quella da aforista instagrammabile.

Passare da vecchio sporcaccione ad autore di frasette da apporre sotto un culo o un paio di belle gambe debitamente distese al sole, dopotutto, potrebbe essere solo un’evoluzione naturale, anzi un doveroso adeguamento ai tempi.

Dopo tutti questi anni di frequentazione letteraria, mi sento di conoscerlo abbastanza da potermi sbilanciare: sono sicuro che apprezzerebbe. Probabilmente ci scriverebbe un racconto (e ci metterebbe il sesso per vendere).

Bukowski con il suo gatto Butch

Bukowski era un uomo di grandi contraddizioni e di squisiti eccessi: americanissimo ma nato in Germania, brutto e maleducato ma pieno di groupie, bugiardo fino al midollo eppure stranamente genuino e autentico.

È un po’ il ritratto di quell’America che ha perso i sogni mentre era impegnata a cercare sotto il divano qualche spicciolo e magari una sana dose di cinismo: un tenero barbaro tenuto sempre ai margini, scontroso, sbagliato, ma anche commovente e pieno di vita.

Di lui sappiamo tutto o quasi: un’infanzia dolorosa, una manciata di lavori poco retribuiti, un rapporto complicato con l’alcool, una liaison con letteratura underground, qualche matrimonio, un successo meritato e tardivo. La biografia però trascende presto nella leggenda: una leggenda fatta di sbronze, donne e cavalli, naturalmente.

Il problema è che il principale biografo di Bukowski è Bukowski stesso: nella maggior parte dei suoi lavori seguiamo infatti l’io narrante del suo principale alter ego letterario, Henry Chinaski. Impariamo a conoscere l’autore grazie a lui, questo personaggio ubriaco e irresistibile, inattendibile e affamato di vita.

Non sapremo mai quanta verità ci sia nelle spacconerie di Chinaski, nella sua maestosa ubriachezza e nelle sue innumerevoli conquiste femminili: la sua vita esagerata sembra al contempo un sogno e un incubo. È una vita veloce, senza regole, sempre vissuta in bilico fra disperazione ed euforia, fra un lavoro e l’altro, fra un posto da cui fuggire e un angolino bello e perduto in cui non si riesce proprio a tornare.

Bukowski all’ippodromo (foto di Joe Wolberg)

Instabilità e sregolatezza però significano anche assoluta libertà. Bukowski è libero, scrive quello che gli viene in mente nello stile più diretto e sgangherato possibile. Non ha bisogno di mentire eppure lo fa continuamente, esagera e gonfia qualsiasi storia, come farebbe ogni grande narratore da bar, arroccato sul suo sgabello preferito mentre sorseggia l’ennesima birra ghiacciata.

Storie di ordinaria follia è la sua più grande raccolta di short story, eppure in America non esiste. O meglio, è solo una parte di un’opera più ampia chiamata “Erections, Ejaculations, Exhibitions and General Tales of Ordinary Madness, che in Italia è stata spezzettata anche in altre due sezioni: il romanzo (che romanzo non è) Compagno di sbronze (Feltrinelli, 1979) e il racconto singolo Svastica (Stampa Alternativa, 1994).

Le tematiche affrontate dal libro sono quelle che meglio rappresentano la poetica di Bukowski, le sue ossessioni, il suo modo di guardare alla vita.

I racconti partono dalle ambientazioni che più gli sono congeniali: bettole, bar malfamati, angoli dimenticati di un’America ubriaca e disillusa. Il grande protagonista è la voce narrante, che col suo tono scanzonato e disperato imprime su ogni storia l’inconfondibile marchio di fabbrica di Bukowski.

Con alcune derive fantastiche e un amore viscerale per il realismo sporco che l’ha reso famoso e per un certo gusto “Beat”, Bukowski compone con questa raccolta il suo vero capolavoro, confermandosi come un vero maestro della narrativa breve.

Il modo in cui confeziona racconti è lo stesso con cui confeziona romanzi: sono sempre aneddoti, storie masticate al bancone di un bar mentre si cerca di fare colpo su di una sconosciuta che sembra stranamente disponibile. Non si avverte mai uno strappo, ogni storia segue la precedente come uno sproloquio gonfio d’ironia e di amarezza, ma anche di un certo orgoglio e di grande senso di libertà.

Robert Crumb, Illustrazione per “Il capitano è fuori a pranzo” (1996)

Accoppiamenti giudiziosi

Mi è difficile parlare di Bukowski perché mi sento legato a lui da un filo radicato molto in profondità. È come parlare di un parente stretto, di un vecchio amico. Avrà pure i suoi difetti, ma è Bukowski!

Con una vita al limite e uno stile capace di suscitare solo odio profondo o amore assoluto – tertium non datur – il vecchio Hank ha inaugurato un personaggio talmente potente da sopravvivergli e incidersi profondamente nell’immaginario collettivo contemporaneo.

Ha molti eredi Henry Chinaski, ha una schiera infinita di emuli e adepti che hanno fatto della sua sregolatezza e della sua verve un vero e proprio mito: non è difficile trovare una traccia profonda del nostro Vecchio Sporcaccione nelle successive opere letterarie, cinematografiche e musicali.

È proprio in Italia abbiamo uno dei brani bukowskiani più riusciti che si possano ascoltare: “Disperato erotico stomp” di Lucio Dalla.

Lucio Dalla negli Anni Settanta

Si tratta di un pezzo anomalo nella produzione del cantautore bolognese, un’ironica gemma jazz incastonata al centro dell’album “Com’è profondo il mare” del 1977.

La canzone, in una mordace prima persona, ci parla di un Chinaski italiano: un uomo arruffato e arrabbiato che perde una donna e si aggira in una Bologna senza senso fra prostitute, noia e turisti berlinesi.

A prevalere, come nei racconti di Bukowski, è l’atmosfera: il tono con cui ci vengono raccontati gli eventi li fa gradualmente ascendere a leggende da bar in cui tutto assume contorni più sfumati.

La follia di cui parla Bukowski è la stessa di Dalla: un selvaggio desiderio di abbandono, una forma soffusa di disillusione e di rassegnazione che trova nell’eccesso un briciolo preziosissimo di speranza.

Non so se Lucio Dalla abbia mai letto Bukowski e se si sia ispirato ai suoi racconti per questa canzone, ma mi piace pensarlo.

Mi piace vedere fra i protagonisti disadattati e fieramente immorali di queste opere sorelle una sorta di corrispondenza, e immaginare che dai loro corpi di carta e musica si levi all’unisono lo stesso bellissimo ruggito sgangherato:

Penso a delusioni,

a grandi imprese

a una thailandese

ma l’impresa eccezionale,

dammi retta,

è essere normale

Lucio Dalla, Disperato erotico stomp

Bibliografia

Per approfondire la figura di Charles Bukowski suggeriamo il bellissimo “Bukowski – Una vita per immagini”, a cura di Howard Sounes (Mondadori, 2001), da cui sono tratte alcune delle immagini riportate sopra.

Per Lucio Dalla e “Disperato erotico stomp” segnaliamo invece la bella retrospettiva curata da Auralcrave e il volume “Lucio Dalla. Immagini e racconti di una vita profonda come il mare” (Rizzoli, 2022).



Storie di ordinaria follia

Charles Bukowski – Feltrinelli, 2017 (prima ediz. 1975)


Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...