“Medusa” di Martine Desjardins

Non tutte le fiabe hanno un principe azzurro. Lo sa bene Martine Desjardins, che con la sua “Medusa” ingabbia il lettore in una favola oscura, soffusa e selvaggia in cui non sembrano esistere eroi.

Ci sono solo mostri, tutti travestiti da uomini e donne rispettabili, tutti pronti a fuggire da chi sembra diverso, tutti disposti a sfruttare chi è più debole per i propri fini egoistici.

In questo mondo adombrato, assistiamo lentamente alla metamorfosi di Medusa, una ragazzina solitaria, allevata come una reietta dalla sua stessa famiglia a causa di una malformazione agli occhi.

Medusa si vergogna, tiene gli occhi bassi, si nasconde. Ha il terrore di imbattersi per caso nel suo stesso riflesso, perciò preferisce non guardare.

Non vede così l’odio delle sorelle, il disprezzo del padre, l’atrocità dell’istituto in cui la sua famiglia sceglie di rinchiuderla con altre ragazze considerate troppo diverse per poter vivere liberamente.

L’istituto, come in ogni fiaba che si rispetti, è fatto di schemi reiterati e presenze leggendarie: accanto alle studentesse campeggiano un’algida direttrice calva e una schiera di benefattori perversi, ognuno con la sua prova da superare, ognuno col suo peccato.

Medusa scopre però di avere un talento, qualcosa di molto speciale con cui ribellarsi.

Fra fantasy e mito, “Medusa” si rivela un oggetto narrativo molto attuale.

Weird, femminista e ribelle, il romanzo si compone – oltre gli espedienti narrativi vicini alla tradizione delle favole – di elementi più marcatamente gotici e grotteschi, che riescono a forzare nella narrazione riflessioni scomode ma fondamentali sul ruolo della donna nella società, sulla diversità, sul sesso.


Accoppiamenti giudiziosi

La narrazione di questo romanzo segue principalmente due direttrici: la rielaborazione della tradizionale figura del “mostro” e il romanzo di formazione di una figura femminile in piena evoluzione, interpretata in una chiave horror vicina per certi versi al genere “rape and revenge”.

In particolare questa seconda componente profondamente politica e orgogliosamente ribelle rimanda a un’altra figura centrale per l’affermazione della donna in pittura e in letteratura: Leonora Carrington.

Nata nel 1917, l’artista inglese si è mossa fra il mondo animale e quello dei miti con grazia e profonda creatività, per creare con le sue opere letterarie e pittoriche un ambiente onirico e bizzarro.

In questo enorme sogno gli animali fungono da tramite fra i mondi, da guide, da porte per far comunicare la propria interiorità col mondo esterno. La donna è al centro, meta e chiave per l’interpretazione di ogni messaggio.

Come Medusa, anche la Carrington conosce in vita l’emarginazione e riesce a superarla rivendicando, con uno stile inconfondibile di matrice surrealista, la libertà di creare e di immaginare.

Davanti a queste imponenti figure femminili, letterarie e fisiche al contempo, l’uomo non può far altro che costringersi a riflettere sul ruolo della donna e sulla sua centralità nella società moderna, nonostante costrizioni, imposizioni, abusi.

La magia diventa in qualche modo la chiave per raggiungere la libertà.

Come streghe, fieramente rivoluzionarie ed anticonformiste, la Carrington e Medusa entrano ed escono dal loro regno fatato e non sembrano aver paura della stranezza e della diversità, ma anzi se ne arricchiscono per diventare abbastanza forti da sovvertire le regole stesse della società che le vuole imbrigliare e soffocare.


Medusa

Martine Desjardins – Alter Ego, 2021


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