Vedi Napoli e poi muori. Si muore davvero, nei racconti belli e ferini di Andrej Longo, si muore o si va alla deriva o ci si perde per sempre, in queste storie ambientate in una Napoli tanto viva quanto dolorosa che trabocca dalla carta come un’allucinazione.
Per questa raccolta l’autore – un ischitano che deve il nome a Tolstoj e che utilizza con la stessa affilata maestria tanto la lingua italiana quanto quella napoletana – si ispira ai dieci comandamenti per confezionare dieci storie destinate a incidersi sulla pietra per raccontarci una città, un popolo, un mondo intero.
Andrej Longo la conosce bene Napoli, la ama visceralmente. Lo si capisce da come ce la racconta, quasi disegnandola sulla pagina col suo stesso sangue: crea dialoghi sgangherati e perfetti, si accanisce nelle descrizioni che riescono a cogliere esattamente l’infinita espressività dei dettagli più minuti.
In un susseguirsi di storie a metà fra la cronaca nera e la fiaba, ci imbattiamo in cantanti falliti, gravidanze indesiderate, pizzaioli che lavorano lontani da casa, criminalità piccola e grande.
Con grande maestria, Longo compone il suo mondo cospargendoli di minuscoli elementi di rottura, lampi che arrivano inaspettati creando situazioni al contempo paradossali e assolutamente plausibili: un vecchio che si rifiuta di abbassare lo sguardo davanti a un rapinatore, una sposa misteriosamente inconsolabile, un boss della camorra che salva e condanna per sempre anche chi non vuole finire impastato nel sottobosco criminale della città.
Le storie, nel loro inanellarsi in provocazione in risposta ai dieci comandamenti, sembrano insegnarci che in questa città bellissima e spietata sopravvive solo chi si dona all’amore incondizionatamente.
Alla fine della lettura rimane molto, la lingua, la cadenza, l’ambiente, il mare che c’è ma non si vede. Sembra quasi di essere davanti cartoline da un territorio devastato e indomito, ritratti coraggiosi che non stemperano la bellezza di una città leggendaria ma anzi la esaltano, disegnandola in chiaroscuro come solo i veri artisti sanno fare.
Accoppiamenti giudiziosi
La raccolta di Andrej Longo non può che richiamare alla mente un altro famoso Decalogo, quello del maestro Krzysztof Kieślowski.
Ideata inizialmente come una serie di dieci mediometraggi destinati alla TV polacca, quest’opera capitale della storia del cinema si è aggiudicata il Nastro d’argento, il Premio FIPRESCI alla Mostra del Cinema di Venezia e la Concha de Oro al Festival internazionale del cinema di San Sebastián.
Si tratta di un’opera composita, suddivisa in dieci episodi indipendenti sempre dedicati ai dieci comandamenti, ognuno dei quali affronta temi legati in qualche modo alla morale, alla fede, alla giustizia, all’amore.
Come in Longo, anche qui la legge di Dio diventa qualcosa di molto terreno, insito in ognuno di noi, da esplorare e comprendere a fondo attraverso situazioni complesse e talvolta enigmatiche, spesso prive di un vero e proprio scioglimento.
Anche in questo caso poi i dettagli rivestono un ruolo fondamentale per riuscire a capire il messaggio sotteso ad ogni episodio: una vespa arranca fuori da un bicchiere, restando tenacemente aggrappata alla vita, una boccetta d’inchiostro si spacca senza alcun motivo apparente.
Kieślowski, proprio come un grande autore di racconti, riesce così a racchiudere in opere brevi quesiti davvero enormi
Sulla scia di questi indizi seminati fra le scene con criptica generosità, si individua facilmente un ulteriore dettaglio conturbante, presente quasi in ogni episodio: la figura del testimone silenzioso, un uomo che attraversa le vite degli altri semplicemente osservando inerme ciò che accade.
Secondo alcuni sarebbe Dio, secondo me siamo noi lettori quando ci confrontiamo con un’opera che contribuiamo a creare con i nostri occhi meravigliati e sgomenti come davanti ai racconti di questa silloge perfetta e crudele.

Dieci
Andrej Longo – Adelphi, 2007