È rarissimo trovare riferimenti tecnologici nella letteratura. Le ragioni possono essere molteplici: innanzi tutto la tecnologia avanza molto velocemente e l’editoria procede per ere geologiche come il magma o come le montagne, poi la letteratura ha spesso un manto di snobismo che le fa andare di traverso tutte le forme più popolari di intrattenimento o condivisione di informazioni (“Instagram? E cos’è?”).
In terzo luogo, per esperienza personale, riconosco che probabilmente la ragione più probabile sta nell’aspirazione all’eternità. Scrivere dà la stessa vertigine che si prova piantando un albero: poco importa che si tratti di un banano o di una mimosa, per noi sarà sempre un olivastro millenario destinato a sopravvivere agli eoni.
L’ambizione all’immortalità fa sì che spesso gli autori si rifugino in un mondo ideale in cui la tecnologia è cristallizzata a un rassicurante passato recente: ci sono i telefoni ma non c’è whatsapp, c’è la TV ma non Netflix. Si ha così l’illusione di non sporcare la propria opera, di lasciarla pulita e incardinata su ciò che è certo e non su mode transeunti destinate ad appassire in un paio di stagioni, proprio come le migliori serie tv.
Si ha l’ambizione di finire nei libri di testo, di essere letti per sempre (PICCOLO SPOILER: niente dura per sempre, nemmeno gli olivastri millenari di cui sopra).
Joshua Cohen, al contrario, si fa catalizzatore di questo profondo disagio e sfrutta la tecnologia e i suoi dilemmi come motore per generare storie potenti e assolute.

Ciò che lo rende uno degli scrittori più promettenti delle nuove generazioni americane è proprio il suo coraggio nel calarsi nel presente con la voglia di insinuarsi nella tecnologia, nel web, nelle consuetudini di una civiltà ormai irrimediabilmente digitale, pur senza mai sfociare nella fantascienza.
Le storie sono realistiche – o almeno potrebbero esserlo in un mondo allucinato e scritto maledettamente bene. Cohen inventa parole, sproloquia, va a fondo in un delirio controllato e fecondo che riesce a tenere gli occhi del lettore ben incollati alla pagina mentre la sua testa vaga e si adagia su domande cui non è facile dare una risposta.
Altro tema preminente, in questi quattro racconti lunghi, è quello della scrittura: l’ambiguità dello scrittore che diventa protagonista, il ruolo divino di chi inventa una storia, il modo in cui la parola scritta riesce a modellare e piegare la realtà.
Internet riesce a dare corpo a una diceria sino a rovinare la vita de protagonista e di tutti quelli che lo circondano. Un copywriter insegue il sogno di diventare scrittore ma finisce preda di una Parola mancante e di una storia che non riesce a svilupparsi. Una coppia di mezza età vede finalmente a New York l’edificio che in gioventù il loro insegnante di scrittura creativa li aveva convinti a ricostruire nel bel mezzo del nulla, convincendoli a diventare professionisti immobiliari e non scrittori. Un improvvisato giornalista parte alla ricerca della ragazza vista per caso in un video porno.
Quello di Joshua Cohen è un mondo fatto di parole e di dati ed è in continua evoluzione sempre e solo grazie alla comunicazione e ai suoi effetti devastanti: ogni dettaglio s’incastra perfettamente in una cornice coerente eppure stupefacente sino a disegnare una rotta da cui è impossibile deviare.
Internet diventa così uno strumento che dischiude nuove possibilità narrative, ma è anche, al contempo,un mondo parallelo con le sue regole e i suoi meccanismi incomprensibili.
Lo stile è impeccabile, trabocca maestria: in un dialogo diretto con il lettore, la voce narrante si contorce e cambia forma continuamente in un turbinio di parole e minuzie e riflessioni sul suo stesso ruolo narrativo. L’ultimo racconto, vero colpo da maestro di un autore multiforme e coraggioso, ci cala in una fiaba con taglialegna e boschi eterni e si evolve – lentamente, inesorabilmente – in una leggenda metropolitana, che attraversa la Rivoluzione Russa grazie a un vecchio letto di legno intagliato e approda al nuovo millennio nella descrizione minuziosa di un porno amatoriale.
Perfetto, instabile, provocatorio, indimenticabile.
Accoppiamenti giudiziosi
Potrebbe essere un’ottima copertina per questa raccolta – oltre alla bellissima immagine scelta da Codice Edizioni per l’edizione italiana – una qualunque delle opere di Paweł Kuczyński.

Noto per le sue illustrazioni dissacranti e cariche di black humour, l’artista polacco si è nel tempo distinto per un approccio critico e corrosivo al mondo della tecnologia e dei social network in generale.
Le sue scene sono paradossali e fanno male, perché ci colpiscono esattamente dove siamo più esposti.
Come Cohen, poi, anche Kuczyński si concentra sul potere della parola nella formazione della realtà: quando essa si diffonde e prende il sopravvento sulla verità fattuale, quando diventa ragione di vita, quando dà corpo agli istinti più meschini di ognuno di noi.

Quattro nuovi messaggi
Joshua Cohen – Codice Edizioni, 2021