“Nova” di Fabio Bacà

Davide è un neurochirurgo. È sposato con una logopedista, ha un figlio, ha qualche problema coi vicini e col capo, al lavoro. È insomma una brava persona, una di quelle che saluteresti ogni mattina della tua vita col sorriso.

Qualcosa però s’insinua nelle crepe della sua esistenza tranquilla nel momento in cui sua moglie viene molestata da un ubriaco e lui, impotente, assiste da lontano alla scena senza riuscire ad intervenire.

La sensazione, nel susseguirsi di eventi che ora distendono e ora infiammano i sensi dei lettori, è quella dell’ approssimarsi di una catastrofe. Non sai da cosa dipenda, ma la scrittura converge verso qualcosa che resta sempre fuori fuoco, qualcosa che ti porta a girare convulsamente le pagine con un nodo alla gola.

È un thriller perfetto proprio perché non è un thriller, è un’opera complessa di atmosfera, in grado di tenere sempre al centro il concetto di plasticità, su cui peraltro si basano le professioni di Davide e di sua moglie.

Partendo da posizioni neurologiche sulla plasticità del cervello (bellissime le parentesi divulgative e i casi reali, come quello del prof. Bach-y-Rita), Bacà ci trascina in un gorgo di domande sul cambiamento e sul nostro ruolo di artefici della nostra stessa trasformazione.

È possibile risalire a qualcosa di primordiale per sovvertire il processo di addomesticamento cui siamo andati incontro in millenni di civilizzazione?

Davide intraprenderà un viaggio iniziatico con un maestro atipico e un obiettivo non sempre chiaro, sino a un epilogo folgorante e accecante come una supernova.

A lettore restano molte domande per cui la risposta non è mai priva di riflessi sgradevoli.

Occorre accettare la violenza e farsi parte di un flusso, occorre invertire il processo che ci ha portati da lupi ad essere chihuahua, oppure è meglio lo status quo, è più saggio restare nell’ombra sperando che la violenza ci risparmi, che i carnefici non si accorgano di noi mentre tremiamo minuscoli, nascosti sotto il tappeto?

Bacà, autore emergente della prestigiosa scuderia Adelphi, ci regala un’opera illuminante, scomoda e bellissima, progettando una narrazione perfetta e veloce che non lascia scampo.

Il fatto che lo si legga in una giornata e si continui a pensarci per settimane è indice della sua grandezza. Un’opera imperdibile, da guardare mentre riposa sullo scaffale come si guarda una pantera nel suo habitat naturale, con un misto di paura e fascinazione.


Accoppiamenti giudiziosi

La reazione alla violenza, anche quando riguarda un evento naturale, è al centro dello straniante “Forza maggiore” di Ruben Östlund.

Il film, vincitore del premio della giuria nella sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes del 2014, segue la vacanza nelle Alpi di una famiglia svedese, che viene sfiorata da un evento imprevisto e potenzialmente distruttivo: una valanga quasi sommerge il loro ristorante.

Un fotogramma del film “Forza Maggiore” (2014)

Al centro di tutto, anche qui, la reazione del padre, che prende telefono e guanti e scappa, abbandonando la famiglia al proprio destino.

Istinto? Pilota automatico?

Anche qui le domande sono molte e spiacevoli, come quelle cui si sottopone il protagonista nei restanti giorni di vacanza, in una personale discesa vertiginosa nell’abisso della propria vigliaccheria.

Forse sono la negazione della fragilità e l’esposizione costante a un certo ideale di machismo a corrodere dall’interno la capacità stessa di reagire, forse è l’abitudine a muoversi in un ambiente che segue regole certe e pulite e sempre prevedibili.

Le montagne non crollano, le persone non uccidono, non derubano, non perseguitano. Ma allora veramente la violenza va negata? Dobbiamo vivere come se non esistesse, per evitare di evocarla come uno spettro malevolo durante una seduta spiritica?

Il tema ritorna più volte nell’opera di Östlund, a partire dal cortometraggio Incident by a Bank,

Anche qui l’effetto surreale deriva probabilmente dall’irruzione di qualcosa di primordiale nel nostro quotidiano, un elemento selvatico che penetra e delira nell’ambiente controllato e artificiale che abbiamo noi stessi costruito al fine di espungere ogni elemento aberrante.

La negazione della violenza ci ha resi così impreparati all’emergenza, ci ha resi prede. Lo dice Bacà, ce lo mostra Östlund.

Ma a quale costo siamo disposti a riprenderci un posto da combattenti nella sanguinosa battaglia della vita?



Nova

Fabio Bacà – Adelphi, 2021


Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...