Il microracconto è un terreno ancora in gran parte inesplorato: in Italia è arrivato pochissimo, altrove è bersaglio di accuse di inconsistenza e di insensatezza.
Andres Neuman, in questa raccolta di microracconti più o meno brevi, ci spiega in un bellissimo saggio finale cosa significa per lui interpretare questa particolare forma d’arte, sospesa fra poesia, prosa e arti performative.
La prima cosa da tenere ben presente, quando si parla di questa strana forma narrativa, è che il microracconto non dev’essere necessariamente minuscolo. Deve essere incisivo, questo sì, ma può essere un uragano di pagine così come un lampo di tre parole.
Ciò che conta è una certa tensione verso il lirismo e verso la rappresentazione di quadri che – come vere istantanee – catturano un evento minuscolo ma capace di catalizzare un grande significato sommerso.
In questa silloge elegante e veloce, non a caso, la potenza espressiva della condensazione dirompe subito, in apertura, con un racconto di racconti-bonsai: un elenco di annunci per “cuori solitari” in cui i personaggi, ognuno nel proprio stile, prendono a turno la parola per raccontarsi e raccontare cosa stanno cercando.
In questo esercizio di concisione e icasticità, Neuman distilla in una sola goccia purissima l’essenza di una delle sette trame fondamentali individuate da Christopher Booker nel suo saggio “The Seven Basic Plots: Why We Tell Stories”: la ricerca.
Ognuno è pronto per il suo viaggio – come Frodo, gli Argonauti e Odisseo. Con Neuman, però, noi vediamo solo l’essenziale: una minima parte di ciò che congiunge l’eroe con l’oggetto del suo desiderio, la parte che conta.
È questo meticoloso lavoro di scavo a rendere Neuman un narratore affilato e perspicace, in grado di affondare con poche parole sino al cuore di una trama per farla detonare.
Tutti i racconti della raccolta si inanellano in una catena ben calibrata di esplorazioni fra i generi, in cui la brevità diventa occasione per coinvolgere attivamente in lettore in un’attività di interpretazione.
L’assurdo così si affaccia alla realtà e al suo mosaico di vite incrociate e, come un ammasso di fotografie sparse sul pavimento in un collage provvisorio, compone un quadro casuale eppure stranamente coerente.
Non ci stupisce così vedere ex-suore innamorate del sesso, apparizioni fantasmatiche di conoscenti che in realtà non si conoscono per niente, buongustai giapponesi affamati di fugu e di morte, accademici esperti di discipline inesistenti.
Accoppiamenti giudiziosi
La prospettiva di Neuman ricorda per certi versi quella scelta da Domenico Gnoli per le sue tele fatte di piccoli enormi dettagli.

Gnoli, a cui è dedicata fra l’altro un’importante retrospettiva alla Fondazione Prada visitabile sino a febbraio 2022, privilegia un punto di vista vicinissimo all’oggetto osservato, tralasciando volutamente il quadro generale per concentrarsi su un singolo particolare in grado di aprire una particolare profondità sulla storia che lo circonda.
Quante cose ci possono raccontare una perfetta treccia bionda, un taschino slacciato, una cravatta dall’elegante trama geometrica annodata stretta?

Gnoli e Neuman scelgono di privilegiare il dettaglio minuto per stimolare l’osservatore e il lettore a creare essi stessi un contesto, ad allargare la propria vista all’invisibile che circonda il mistero delle cose minuscole di ogni giorno.