McGrath ha un flirt con la psichiatria che dura sin dall’infanzia.
Certo doveva sentirne parlare spesso, quando viveva coi genitori nei pressi del manicomio di Broadmoore, in cui il padre prestava servizio come psichiatra.
Broadmoore ancora oggi affascina e atterrisce, carico com’è di storia e di un fascino oscuro che si snoda dalla sua fondazione nel 1863 sino ai giorni nostri, attraverso fughe sfociate in delitti, accuse di abusi da parte del personale e ospiti ricoverati dopo aver commesso un sorprendente catalogo di atrocità.
Anche architettonicamente la struttura antiquata del vecchio manicomio può tracimare nella fantasia di un bambino e condensarsi sino a formare strutture macabre, visioni crudeli e storie contorte che si bagnano in un passato perduto per esaltare la decadenza.
Queste sono le storie che McGarth mette su carta, parallelamente alla sua carriera di romanziere, nella forma del racconto breve e che sono confluite nella raccolta “Racconti di follia”, fra inediti e piacevoli riscoperte.
È una scrittura ricca e precisa, quella che compone queste short story in bilico fra realismo e gotico, fra horror e fiction storica.
Ciò che veramente colpisce è soprattutto il clima che l’autore riesce a ricostruire, qualcosa di invisibile sotteso ad ogni narrazione, in grado di creare un quadro coerente pur nell’esiguo numero di pagine in cui ogni trama viene sviluppata.
Ora realistiche, ora più inclini all’horror soprannaturale, le storie di McGrath hanno sempre a che fare con la mente umana e con le sue deformità: non è sempre agevole distinguere la follia dal fantastico, l’assurdo dall’inusuale.
Facciamo così la conoscenza, muovendoci fra le pagine elegantemente bordate di nero della raccolta, di gloriose casate decadute nella pazzia dei loro ultimi rampolli, di angeli incapaci di morire, di esploratori perduti nei giardinetti inglesi, di vampiri e odori capaci di far impazzire, di folletti-psicanalisti, di presenze sinistre acquattate nel bayou.
Con un gusto spiccato per il fulmen in clausula, McGrath ci mostra così il suo personale catalogo di bizzarrie e lo fa con il trasporto di un visionario e con la cura di un entomologo.
Le ricostruzioni storiche sono esibite con ricchezza di particolari e di forme che ben si sposano con lo spirito ora tetro ora grottesco dei racconti: abbondano figure fragili e contraddittorie, perse fra le voci dei loro psichiatri e quelle ben più sinistre delle loro malattie mentali, fra ambientazioni coloniali sull’orlo del collasso e mondi perduti come i Roaring Twenties o l’eterno Ottocento delle campagne inglesi.
Ciò che conta è il colore – il nero – che trabocca da ogni pagina e come inchiostro sporca gli occhi e ottunde i sensi per farci perdere nei suoi piccoli meravigliosi incubi.
Accoppiamenti giudiziosi
La psicanalisi fa paura. Avere qualcuno che sbircia dentro le nostre teste non è mai una sensazione piacevole: può essere risolutivo, può essere un toccasana, ma di sicuro è un ottimo motore per un percorso di discesa nell’orrore.
Forse vivere accanto a uno psicanalista è ancora più strano, condividere la propria vita quotidiana con qualcuno che – di punto in bianco – potrebbe provare ad analizzarci.
La paura, come in alcuni racconti di McGrath, sta proprio nel timore di essere pilotati.
Sono veramente libere le nostre scelte? Siamo sicuri di non essere su un binario che qualcuno sta lentamente stendendoci davanti per portarci esattamente dove vuole?

A questo sentimento d’angoscia risponde il videogioco “Until Dawn”, un’avventura interattiva in cui i giocatori saranno chiamati a impersonare un gruppo di giovani intrappolato per una notte in una baita sperduta nella neve.
Il vero dramma risiede nella libertà di scelta, che plasmerà la trama nel corso dell’evoluzione della storia verso un finale
Curiosamente, anche qui uno dei personaggi più iconici è un inquietante psichiatra, che grazie a test e domande sembra plasmare il gioco sulla base delle nostre paure e del nostro modo di pensare.
Che sia illusione o meno, Until Dawn rimane comunque un’esperienza agghiacciante oltre che un’ottima riflessione sul peso delle scelte anche più piccole che compiamo ogni giorno.