“Thornhill” di Pam Smy

Siamo a Thornhill, ex orfanotrofio ora in stato di abbandono. Due bambine si guardano attraverso un vetro punteggiato dalla pioggia o forse attraverso il tempo, forse attraverso la trama ragnata della carta di un diario consumato dagli anni. Il bianco e nero delle illustrazioni è perfetto per gelare il sangue e trascinarci così dentro una fiaba dark ambigua e incalzante.

Parliamo di “Thornhill”, primo romanzo dell’artista Pam Smy, che si prodiga in quest’opera tanto nei testi quanto nei disegni, in entrambi i casi con notevole maestria e con una sicura visione d’insieme.

Le protagoniste sono Ella, figlia solitaria di un uomo sempre lontano per lavoro, e Mary, orfana silenziosa innamorata delle bambole che costruisce e dei libri con cui riempie la propria cameretta. Lo sfondo è una dichiarazione d’amore alla letteratura gotica: un orfanotrofio destinato alla chiusura in cui si agitano adulti incapaci di diventare punti di riferimento e bambini incattiviti da dinamiche sociali asfissianti.

C’è crudeltà e c’è poesia, ci sono spiragli di luce che mettono in comune i due mondi distanti ma affini delle protagoniste.

Il libro sceglie una strada impervia per parlarci di tematiche delicate come il bullismo e la solitudine.

Non è un fumetto, non è un romanzo nel senso più classico del termine. È piuttosto una storia che procede su binari paralleli: quello scritto nella prosa rigorosa e realistica di un diario e quello muto delle illustrazioni. La trama si snoda in tempi diversi. Mostri diversi si agitano nei due mondi che sembrano trovare un punto di contatto solo nel finale, galleggiando sulla realtà ovattata del vecchio orfanotrofio.

Pam Smy non lascia scampo: con leggiadria dà vita a un congegno narrativo molto sottile, in grado di inchiodare il lettore con uno stile cupo e poetico al contempo.

L’ambiguità è il suo punto di forza: più volte nella lettura si cambia idea sui personaggi e sulle loro azioni che lasciano solo intravedere un terrore strisciante e realistico come solo la vita vera riesce talvolta ad essere. Dopo aver voltato l’ultima pagina ho cercato a lungo, convinto che da qualche parte ci fosse una morale, come in ogni fiaba.

A quanto pare, forse anche dopo un finale straziante non c’è nessun insegnamento: è solo contemplazione struggente, solo meditazione purissima attorno ai temi dell’amicizia, della solitudine, del bullismo, del senso della vita e della morte.

Un vero gioiello delicato di buio e poesia.


Accoppiamenti giudiziosi

Le storie gotiche hanno segnato più di un’epoca fra letteratura e cinema.

Oggi soppiantate spesso da orrori più plateali, continuano comunque a mietere vittime fra gli amanti della brivido con i loro personaggi ectoplasmatici fra ville abbandonate e castelli adombrati.

Pescando nel ricco catalogo di opere che hanno reso omaggio a questo genere nobile e antico, mi piace consigliare la visione del film “Marrowbone”.

Non è la solita storia gotica, non è il solito film horror da dimenticare dopo i titoli di coda. Guardandolo si mastica un disagio sottile e sottilmente ci s’insinua nelle crepe sulla superficie di una storia che sembra liscia come uno specchio ma che lascia spiragli sempre più profondi per un po’ di buon vecchio terrore.

Gioco di specchi, tributo ai capisaldi del genere, Marrowbone come Thornhill riesce a spiazzare per forma e per scelte narrative e riesce a dare nuova linfa vitale a una corrente artistica che sembrava morta e che invece continua ad agitarsi nelle notti più buie fra lampi, sussurri e porte che sbattono.

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