Un vecchio libro avvelenato, un mistero da risolvere, un popolo dimenticato, monaci, diavoli, esploratori di sogni. Milorad Pavić aveva tutti gli ingredienti necessari per cucinare un buon libro d’avventura e invece ha scelto di preparare un dizionario.
È tutto spiazzante, a cominciare dal titolo che stupisce e allontana e ammalia, in questo “Dizionario dei Chazari”. Dalla prima pagina è infatti chiaro immediatamente che non sia affatto un libro normale: non ci sono capitoli, non c’è una trama vera e propria, non c’è nemmeno un protagonista.
Cos’è allora il Dizionario dei Chazari?
Un libro labirintico, un universo di carta, un tentativo riuscitissimo di scardinare la più tradizionale idea di romanzo e di narrazione.
Benché si parli di dizionario, è opportuno chiarire da subito che la forma prescelta per questo capolavoro nascosto sia più propriamente quella di una enciclopedia, erede diretta dei deliri catalogatori dei migliori illuministi e massima espressione di uno dei tentativi più felici di superamento del romanzo mai sperimentato.
Il libro ci si presenta diviso in tre parti, in cui fonti cristiane, fonti islamiche e fonti ebraiche si contendono a colpi di definizioni e rivisitazioni la memoria dei gloriosi Chazari, popolazione seminomade di origine turca stanziatasi nell’area del Caucaso attorno al VII Secolo d.C..
I Cazari di cui si parla sono realmente esistiti e pare si siano convertiti al giudaismo all’inizio del IX Secolo, ma a Pavić poco importa: secondo lui non è nota la religione a cui questa popolazione si sarebbe convertita a seguito di un dibattito fra i rappresentanti delle tre grandi confessioni monoteiste svolto davanti al Khagan e noto come “polemica chazara”.
Ciò che realmente conta, per capire lo spirito del libro, è la rielaborazione che esso fa delle fonti e delle testimonianze raccolte, come in un sogno, sino a trasfigurare nella loro storia quella della Jugoslavia lacerata dalle divisioni religiose.
Col pretesto dei Chazari si parla infatti di mito e di storia, di rielaborazione e di verità, di fonti e di superstizione, in un gioco di specchi che percorre tutto il libro alternandosi fra opposti che fanno del dualismo uno dei temi portanti e sommersi dell’intera narrazione: maschile e femminile, destra e sinistra, unico e molteplice, sognatore e sognato, scrittore e lettore si scontrano così in versioni antitetiche della medesima storia, che scorre sommersa come un fiume tumultuoso dalla sfarzosa Costantinopoli sino alle steppe selvatiche del nord.
In questo modo la voce di Pavić si reinventa e si arrampica su un linguaggio che è quello della mitologia e dei testi sacri: ogni racconto, ogni definizione gioca con la Bibbia e con i miti di ogni cultura, ereditandone il tono trasognato e mistico per trafiggere il reale con incursioni spregiudicate del fantastico nel purissimo mondo delle enciclopedie e della cronaca.
Non stupisce così leggere storie di chiavi antiche trovate in bocca al risveglio, diavoli artigiani, figli creati come golem da genitori troppo onnipotenti per essere umani.
Il lettore arrivato in fondo si sente complice della creazione artistica, avendo scelto in autonomia quale binario seguire. Nulla è lineare, come nella vita. Tutto procede per intuizioni e felici scoperte immotivate.
Tutto procede, come su internet, perdendosi nell’inseguire un link: l’ordine non conta, nemmeno la completezza. Conta l’agilità con cui l’informazione diventa patrimonio e via di fuga.
Chissà se Pavić aveva previsto Wikipedia e il web o se siamo anche noi lettori, con la nostra realtà impalpabile, parte di un suo misterioso intricatissimo romanzo.
Accoppiamenti giudiziosi
È solo una questione di punti di vista e di omissioni: la vicenda dei Chazari non si capirà mai, nemmeno alla fine del libro, ma forse non conta.
Lo capisce anche Nikon Sevast, talentuoso diavolo pittore che ci accompagna in alcune storie contenute nel Dizionario:
Quando dipingo è come se usassi un vocabolario di colori […] e lo spettatore stesso combina con le parole di quel vocabolario le frasi e i libri, vale a dire i quadri. Così potresti fare anche tu scrivendo. Perché qualcuno non potrebbe formare un vocabolario con le parole che costituiscono un libro lasciando al lettore di crearne da solo l’unità?
Milorad Pavić, Dizionario dei Chazari
Come in un quadro impressionista è inutile focalizzarsi sui singoli colori e cercare di districarli dal groviglio cromatico che compone l’opera. È meglio allontanarsi, socchiudere gli occhi e perdersi nell’amalgama di punti, macchie e campiture che crea negli occhi un’impressione, una conoscenza vaga ma emotivamente esaustiva di ciò che l’opera voleva rappresentare.