Dicono sia sbagliato giudicare un libro dalla copertina, ma trovarsi davanti un sosia di George Washington con una testa enorme e un cartellone che emerge da uno sfondo rosa shocking non può lasciare indifferenti.
Confesso di aver comprato il libro solo per questo: non sapevo, nell’esatto momento in cui ho deciso di avviarmi alla cassa con questo meraviglioso Supercorallo Einaudi sottobraccio, chi fosse Raphael Bob-Waksberg.
L’ho scoperto in coda, leggendo finalmente la terza di copertina: si tratta dell’autore dell’acclamata serie cult “BoJack Horseman”. La bio si spinge poco più avanti di un laconico “sceneggiatore, produttore televisivo, attore”.
Sono tre elementi che fanno storcere il naso a qualunque lettore: la televisione è un cugino sempre malvisto perché il diavolo non si cela più nei dettagli, com’era uso dire sino a qualche decennio fa, ma negli schermi ultra HD.
Anche io sono partito con molte riserve, appena mitigate dal mio amore smodato per BoJack e per il suo perfetto miscuglio di depressione e ironia feroce.
Poi ho letto i primi racconti ed è stato come addentrarsi in un frullatore acceso: è tutto colorato, assurdo e tragicamente divertente.
Già a partire dalla prima storia, incrociamo personaggi innominati ma subito iconici, situazioni talmente pop da risultare proverbiali rimescolate con stile e cattiveria ad elementi in grado di esaltarle sono a renderle esplosive.
Ci si imbatte così, proseguendo la lettura, in vite banali ossessionate dal cellulare, matrimoni con sacrifici di caproni, scienziati che approfittano delle loro porte dimensionali, ragazze con un debole per il proprio fratello (fratellastro!), guide turistiche che parlano delle miserie delle proprie relazioni finite male, ma anche regolamenti di tabù per coppie incrinate, liste delle bugie più comuni, poesie in forme di sfortunate storie d’amore mai sbocciate.
Ogni racconto è scritto con uno stile veloce e curato, ogni parola al posto giusto pizzica quanto basta per farci piangere un po’, senza mai smettere di ridere, come in un perfetto cocktail al peperoncino.
Ad ogni pagina diventa sempre più evidente come Bob-Waksberg implacabilmente faccia centro ad ogni racconto, regalandoci una raccolta perfetta, ben calibrata nei tempi e valorizzata da un uso spericolato dell’immaginazione, che gioca senza paura con l’assurdo e il grottesco senza mai perdere aderenza con un realismo tremendamente crudele.
Accoppiamenti giudiziosi
C’è molto Bojack Horseman in questa raccolta, anche se in una chiave più umana. Le vicende dei protagonisti, ora intraviste sull’orlo di un gioco di parole, ora narrate dall’interno con brio e autoironia, ci raccontano un mondo colorato e sgangherato come quello della serie tv.
BoJack ha però come riferimento il mondo dello spettacolo con le sue storture e i suoi eccessi, mentre il libro mettendo in scena episodi trasversali alla vita di ognuno riesce a creare sottili imbarazzi e delicate crudeltà in grado di far combaciare per qualche istante i problemi di ognuno con la vita narrata sulla pagina. A chi non è mai capitato?
La sensazione liberatoria è una rivincita del sogno americano che ormai ha conquistato come un imperativo tutto il mondo occidentale: l’obbligo di avere successo, nella vita professionale così come in quella sentimentale, l’esigenza di divertirsi e di ridere come se la tristezza e il fallimento fossero una brutta malattia infettiva da cui tenersi alla larga.
I protagonisti delle storie di Bob-Waksberg, sullo schermo e sulla pagina, si muovono orgogliosamente controcorrente, sfidando i concetti di dignità e successo per rivendicare con feroce umorismo il diritto di essere fallibili e mortali e pessimi.
Non tanto l’autoassoluzione, quanto piuttosto la consapevolezza della mediocrità è la caratteristica che rende ogni personaggio vivo e vero e vicino a chi legge: siamo tutti un po’ BoJack, quando ci leviamo la divisa da eroi e guardandoci allo specchio non vediamo altro che un relitto.
La sensazione complessiva è quella di trovarsi oltre il sogno americano, in un luogo imprecisato è sgradevole ma familiare: siamo al buio nell’incubo che ci impedisce di risvegliarci e ci trascina sempre più lontano dai nostri obiettivi e da quelli del mondo che ci circonda.
È bello e umanissimo però lasciarsi trasportare alla deriva e restare a guardare il disastro con un sorriso sardonico mentre tutto va a rotoli.
“Qualcuno che ti ami in tutta la tua gloria devastata” non cura ma rivela, è una lettura necessaria, liberatoria e inebriante: è un’inaspettata ora di supplenza quando sei a scuola e fuori c’è una bellissima primavera spietata e fiammeggiante.