“Quando eravamo prede” di Carlo D’Amicis

Siamo uomini, siamo animali, siamo totem?

La storia raccontata da Carlo D’Amicis in “Quando eravamo prede” (Minimum Fax, 2014) ha il respiro universale di un mito e la crudezza di un pulp: è ambiguo il confine fra preistoria e futuro, così com’è ambigua la natura del popolo di cacciatori che si aggira in una boscaglia sterminata alla ricerca di prede.

Che si tratti di umani o di strane bestie antropomorfe poco importa. Sono cacciatori e vivono in un complicato rapporto col bosco e con le sue creature, rivestendo ora un ruolo crudele, ora uno cerimoniale o addirittura subordinato alla natura e alle sue regole non scritte.

Il protagonista è Agnello, giovane predatore dal nome innocuo, che viene a contatto durante una spedizione rituale con una donna proveniente dal mondo esterno.

Agnello incarna l’innocenza ma anche la brutalità della natura e degli istinti delle persone che lo circondano, in un teatro variopinto e scalcagnato: attorno al suo destino e a quello della donna misteriosa venuta da lontano gravitano sua madre, la Cagna, rabbiosa, passionale e indomabile, il padre Alce, cornuto e felice d’esserlo, e soprattutto il Toro, inseminatore della tribù e padre biologico di tutti i cuccioli.

I ruoli cominciano a cambiare mano a mano che i cacciatori si rendono conto della strana calamità che li ha travolti: gli animali, rispettata e violentata fonte di sostentamento, sono svaniti.

Restano solo i topi, una specie strana di topi con un occhio solo che forse fanno cambiare irreparabilmente quelli che scelgono di cibarsene.

La grande questione che il libro si propone di affrontare è la civilizzazione, in contrapposizione allo stato di natura.

Non a caso, ogni personaggio ha un totem animale, un carattere univoco indice della propria identità latente sotto una pelle irrimediabilmente umana, mentre tutti i forestieri sono identificati collettivamente come Scimmie, l’animale più simile all’uomo, in un certo senso l’imitazione farsesca dell’uomo e della sua evoluzione.

D’Amicis, dimenticato il mito del buon selvaggio e ogni retorica sulla bontà della natura, ci racconta un mondo ambiguo in cui nessuno è esente da colpa e lo stesso atto di sopravvivere si basa su un atto predatorio o di sopraffazione.

Allora perché la civiltà quando arriva fa esplodere l’ordine doloroso del bosco? Esiste un tipo di crudeltà migliore, più efficiente, più ordinata, più crudele?

Mentre seguiamo lo sprofondare dei cacciatori in un mondo sempre più ostile, non possiamo evitare di interrogarci su cosa sia meglio: la caccia, coi suoi riti e le sue storture, le sue tradizioni ormai obsolete e la sua fuga costante dal presente, oppure il mondo esterno con le sue automobili, le sue Scimmie e la sua consapevolezza disillusa?

Lo si capisce dalle prime pagine, dai vuoti che ci asfissiano come pezzi mancanti di un enorme puzzle: “Quando eravamo prede” è un libro titanico e spietato che – come ogni oracolo – fornisce più domande che risposte.


Accoppiamenti giudiziosi

È difficile selezionare una sola opera che tratti efficacemente il tema dell’esportazione della civiltà.

Ci sono probabilmente intere biblioteche che affrontano questo tema, da cui gemmano atrocità come la colonizzazione, la distruzione di intere civiltà, la segregazione di intere etnie.

Ruggero Deodato nel 1980 prova a dare la sua personalissima riposta con una pellicola che all’epoca fece molto discutere, “Cannibal Holocaust”.

A parte le polemiche e la condanna per le violenze sugli animali perpetrate durante le riprese, il film arrivò in tribunale anche perché sospettato di essere uno snuff movie in cui i protagonisti realmente finivano uccisi.

Non fu così, naturalmente, ma la crudezza grafica e il brutale realismo di alcune scene servono da scalino per raggiungere una critica spietata al mondo dello spettacolo e – più in generale – all’Occidente intero quando entra in contatto con altri mondi che reputa inferiori.

La trama ruota attorno alla scomparsa di un gruppo di giornalisti inviato nella cuore dell’Amazzonia per girare un documentario sulle tribù cannibali.

Sbranati dagli indigeni? Forse. O forse il materiale video rinvenuto nella foresta racconta una verità molto diversa.

Alla fine, se si riescono a superare indenni le scene macabre e talvolta incredibilmente respingenti, si resta divorati da un solo interrogativo: chi sono veramente i selvaggi?

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