Ottessa Moshfegh sta decollando come uno dei nuovi astri della narrativa americana.
Com’è noto, il curriculum della maggior parte degli scrittori statunitensi contemporanei prevede tappe fisse abbastanza ineluttabili e fra esse fanno la loro comparsa i racconti – meglio se pubblicati su riviste blasonate, meglio se anticipatori di un proverbiale grande romanzo americano.
È naturalmente un cursus honorum che coinvolge anche scuole di scrittura e agenzie letterarie, qualcosa che gli amanti dell’artiginalità genuina e della sregolatezza possono trovare stucchevole.
La Moshfegh, però, pur muovendosi in un ambiente arcinoto nella sua scalata verso il romanzo e il successo letterario, è riuscita a creare piccole storie molto godibili, ciascuna con la propria energia e la propria voce pungente.
È una rassegna di pubblicazioni precedenti, una raccolta-frankenstein in cui si può leggere il percorso di crescita come narratrice della Moshfegh.
La seguiamo così mentre muove i primi passi nel mondo della narrativa, a partire dal primo titolo della raccolta, “Tentativi per migliorarsi”. Si assiste così a una progressiva evoluzione che si concentra su situazioni di calma apparente in cui la tensione sottesa a una sostanziale immobilità diventa qualcosa di elettrico e ribollente.
È difficile trovare un filo conduttore nelle short story scelte per comporre la collezione: forse è proprio il tono che progressivamente acquisisce forza e capacità di definire anche nello spazio ristretto di un racconto personaggi di notevole complessità (uno su tutti, l’anziano sgangherato che prova a sedurre la vicina di casa per mezzo del nipote).
Situazioni non chiare e relazioni fagocitanti rendono acuta la lente d’ingrandimento che la Moshfegh pone sulla vita americana (anzi occidentale in genere), spietata sulle sue fragilità e sulle sue manie.
Inutile negarlo – Ottessa Moshfegh sa cosa dire e cosa tacere ed è piacevole notare come il lavoro sui tempi dei racconti diventi un meccanismo via via sempre più raffinato.
Lo sviluppo naturale della sua voce culmina proprio nell’ultima storia della raccolta, “Un posto migliore” – inedita e deliziosamente ambigua – che vale da sola la lettura dell’intera silloge.
Accoppiamenti giudiziosi
Il respiro di questi racconti riporta ai dipinti di Ron Hicks, artista anch’egli statunitense celebre per i suoi attimi sospesi dipinti con una maestria d’altri tempi.
Forse per una coerenza di spazio o forse per una predilezione per i momenti congelati all’apice della tensione, Hicks così come la Moshfegh dimostra di conoscere le regole del gioco per creare atmosfere perfette con pochi elementi in perfetto accordo fra loro.

Esistono in queste opere attimi astratti resi immortali dalla loro semplicità, in cui i sentimenti e persino i silenzi dei personaggi esplodono in un microcosmo carico di storie ancora da narrare.
La sospensione anima infatti qualunque scena in un incanto irreale che prelude, come in ogni fiaba, a grandi finali solo immaginati.