Quando il nostro passato diventa Storia?
Oggi sembra difficile rispondere a questa domanda, in un mondo che fa fermare la Storia alla fine della Seconda Guerra Mondiale. I più curiosi, alle superiori, avranno chiuso il libro e si saranno chiesti: cosa viene dopo?
Come se “dopo” fosse un concetto accettabile. Il finalismo è il peccato del lettore, si sa: tutto deve avvenire per un certo fine, tutto ha un obiettivo. Un dopo logico.
Eppure non è così, dopo la guerra e le bombe atomiche non esiste più una Storia degna di essere raccontata. Ai personaggi è mancato un fine. E allora perché esistere, perché affannarsi a raccontare?
Questo dubbio l’ha ben interpretato Gregorio Magini, che nel suo “Cometa” (Neo Edizioni, 2018) ci lancia nell’affresco di una generazione che ha perduto ogni significato nell’alto mare aperto di internet e della fede politica, nel G8 di Genova e nel sesso fatto, esibito e raccontato sino a derubarlo di ogni fascinazione.
Cosa rimane allora della Storia nei suoi ultimi strascichi? Niente, forse solo un gioco, un eccesso. Parliamo di una generazione molto simile a tutte quelle che l’hanno succeduta sui banchi di scuola e nelle piazze, una generazione alla deriva che poco invidia a quella languidamente disperata dei Ruggenti Anni Venti.
Il romanzo decolla così in un avvio di difficile collocazione temporale: un’infanzia onirica e tumultuosa come tutte che alterna la curiosità per il corpo e per il piacere al radicarsi di un’orfanezza esistenziale.
Il protagonista ci appare come un satiro disilluso, opportunista e voltagabbana, che sconta la mancanza di una meta vivendo alla giornata e creandosi di giorno in giorno un futuro probabile da inseguire.
Dall’altro capo della matassa troviamo al contrario un gemello totalmente diverso, un coprotagonista ugualmente nichilista ma fanatico del computer, dei videogiochi, del progresso, una voce minore annidata nel territorio ormai familiare del web e nelle sue minuscole ossessioni.
La Storia li divorerà entrambi, anche se in modi opposti. Illusi e idealisti, perduti e perdenti, saranno entrambi alla deriva – come tutti – in un mondo cannibale che li macina sino ad annullarli in una stagione di mostruoso smarrimento collettivo.
Accoppiamenti giudiziosi
Forse è banale dirlo, ma Cometa si pone come ottimo controcanto di film come The Social Network (David Fincher, 2010) con cui condivide terreno e ambizioni pur portando a sbocchi e analisi diametralmente opposti.
Opportuno tenerlo a mente, in ogni caso, per poter respirare una boccata della medesima aria asfittica e dell’ansia di Fine Millennio che ha portato spaesamento e spazio vuoto da riempire dove prima c’erano solo regole, binari, ordine, ripetizione.