Esistono luoghi che ti imprigionano per sempre. Crum, West Virginia è uno di questi.
Forse è perché non c’è nulla, a parte l’emblematica Collina della Merda, le case sperdute, la scuola, il fiume che segna il confine con il Kentucky, “terra misteriosa di stronzi bifolchi”.
Forse è perché c’è tantissimo, nelle pagine sgangherate di questo capolavoro dimenticato: molti ragazzini arrabbiati, innamorati, eccitati, molte bravate, molto sesso, molta merda, molti adulti ridotti a caricature grottesche e perdute, molta povertà, molta fame, molta vita.
Lasciare Crum avrebbe dovuto essere un atto chirurgico, un’ascia che cade su un arto teso.
Lee Maynard, Crum
Ben lontana dai racconti delicati e minimalisti cui la Provincia Americana ci ha gradualmente abituati, Crum è una cittadina sporca e struggente, intrappolata in un passato ostinato e possessivo.
Il protagonista la vive attraverso la spietata successione delle stagioni e dei loro estremi, della loro bellezza brutale. Diviso fra il desiderio di fuga e l’amore per la propria terra, si lascia seguire dai lettori nel suo bighellonare illogico, fra scoperte sessuali, furti rocamboleschi e scherzi mal riusciti. È questa la linfa vitale di Crum, bruciata dalle estati e congelata dagli inverni: la successione di questi eventi sgraziati ed esagerati intrappola i suoi 219 abitanti nel crudele umorismo dell’autore, che ci butta addosso la sua rabbia e la sua innocenza come solo i grandi artisti sanno fare.
La voce di Maynard ha qualcosa in comune col tono beffardo di Bukowski e con quello dolcemente disperato di John Fante, ma rivendica una propria originalità adattando perfettamente il proprio stile burrascoso alle asperità della provincia profonda.
Maynard, in bilico fra romanzo di formazione e autofiction, elabora un mondo minuscolo e scanzonato che riesce con ironia a incarnare l’anima di un luogo e delle sue storie intrecciate.
Tutto quello che sapevo era che avevo tagliato una specie di cordone ombelicale e avevo usato un coltello arrugginito per farlo. Poi se ne andò. Scomparve sopra un lieve rialzo in mezzo alla strada. Non rividi mai più né lui né Crum.
Lee Maynard, Crum
Alcuni episodi rasentano il comico – come l’assalto con mele marce alla casa di un obeso predicatore – altri lasciano il lettore in atmosfera lirica e agrodolce, come l’amore torrido e delicato fra il protagonista e la sfuggente Yvonne.
La forza del romanzo sta proprio nella capacità dell’autore di miscelare sapientemente dolcezza e crudeltà, ironia e disperazione. Maynard infatti compie con la sua lingua ruvida da gatto un vero miracolo, trovando in questo groviglio di scarti, di storie sghembe e di violenza uno scorcio di pura autentica bellezza.
L’Edizione
Chi ama le edizioni artigianali e schiette si perderà con passione nell’edizione più risalente, quella pubblicata per i tipi di Barney Edizioni nella collana “I fuorilegge”
La stessa traduzione, a cura di Nicola Manuppelli, è stata ripresa più recentemente dalla coraggiosa Mattioli 1885, attivissima nell’importazione delle grandi voci minori americane, spesso ancora poco familiari al pubblico italiano.
Il libro ritorna, col titolo di “Lontano da Crum” e con la stessa verve esplosiva di sempre, nell’elegantissima presentazione della casa editrice fidentina, con le sue fotografie di copertina a tutta pagina e le sue partiture ordinate.
Come di consueto, Mattioli 1885 non delude anzi delizia, col suo gusto minuto per la perfezione dell’oggetto-libro.

Accoppiamenti giudiziosi
L’arte che sprigiona da Crum è quella dell’emozione che erompe, prevalendo sul paesaggio.
L’ambiente del West Virginia non pare in questo dissimile da quello generato dalla fantasia e dagli occhi illuminati di William Turner.
Il grande pittore inglese, da vero precursore, aveva imparato progressivamente a focalizzare la propria attenzione non tanto sugli eventi – storici, celebri, umani – che davano il titolo alle sue opere e che spesso appena si intravedevano, in fondo alla tela, ma al tempo atmosferico che imperversava nel cielo, sopra ogni storia.
La paura per la grandezza delle manifestazioni atmosferiche e lo sbigottimento di fronte al sublime traboccano dallo spazio loro concesso dal pittore, inglobando via via sempre più dettagli e personaggi e avvenimenti storici per trasfigurarli in cruda e brutale emozione.
È questo eccesso di materia sulla tela a formare nubifragi e nevicate e tempeste, generando un impatto emotivo ben superiore a qualsiasi narrazione storiografica.
E Crum, come il mare che si mischia al cielo attorno i naufragi immortalati da Turner, alla fine esplode negli occhi di chi legge, così immane e stridente da infliggere, dopo l’ultima pagina, una fitta inspiegabile di nostalgia.
In ordine, nel testo: Joseph Mallord William Turner – Goldau (1841) e Light and Colour (Goethe’s Theory) – the Morning after the Deluge – Moses Writing the Book of Genesis (1843)