“I vagabondi” di Olga Tokarczuk

La storia dei miei viaggi non è altro che la storia di un malessere

Olga Tokarczuk, I vagabondi

Sarebbe un semplice libro di appunti, se gli appunti parlassero la lingua di Dio e dei filosofi antichi che ambivano alla conoscenza del tutto.

L’obiettivo che Olga Tokarczuk insegue è sempre quello di valicare un confine, spostarsi, rigenerarsi e lo fa mischiando riflessioni, micro-saggi, racconti e ricordi, che si rendono indistinguibili gli uni dagli altri in un impasto variegato e perfetto di puro genio narrativo. In questo modo supera con la disinvoltura dei veri innovatori il confine del romanzo e supera anche il limitare della narrativa per transitare libera fra la saggistica e il diario di bordo.

Che i racconti – magistrali, taglienti, ipnotici – siano storie udite da compagni di viaggio o semplici esercizi di fantasia, buttati giù su un taccuino mentre si aspetta il prossimo volo, forse è solo un’interpretazione fra le tante possibili, o forse è il materiale stesso della storia a spingerci a cercare coerenza e consequenzialità dove invece c’è solo una boccata disomogenea e perfetta di Letteratura.

Vincitrice nello stesso 2018 del Man Booker International Prize e del Premio Nobel per la Letteratura, Olga Tokarczuk può meritatamente ambire a un ruolo di primo piano nel panorama letterario contemporaneo e lo fa con un’opera a suo modo monumentale, polifonica, uno dei migliori libri che è possibile leggere in questa vita.

Per apprezzare le storie che sono riunite nella meravigliosa copertina gialla che Bompiani ci regala, è sufficiente non affezionarsi a un’idea tradizionale di romanzo e anzi accettare che i personaggi, le loro vicende e le loro stesse vite di carta possano sparire per sempre, oppure tornare dopo molto tempo, oppure restare con noi per sempre.

Come viaggiatori che si incrociano in aeroporto, i personaggi sono delineati con la cura di un’acuta osservatrice e con la generosità di una vera artista, che riesce a concepire così un mondo concreto, vibrante e variopinto anche con le poche righe che regala ad ogni sua creatura.

Ci sono capitani condannati allo stesso tragitto da traghettatori di anime, viaggiatrici ribelli, harem tortuosi, antichi anatomisti e combattivi discendenti di schiavi. C’è il tema della stranezza, della bizzarria conservata sotto formalina o nelle wunderkammer di mezza Europa, ma si parla anche di invecchiamento, di morte, di rinascita.

I vagabondi” è un libro che ti cambia e che ti manca, quando volti l’ultima pagina. Per fortuna ti insegna sin dalle prime pagine a lasciarti andare al flusso degli eventi, ti insegna a conservare di ogni incontro fortunato qualcosa di prezioso, attingendo da ogni vita attraversata e persa un amore irrazionale per tutto questo scorrere.


L’Edizione

La Bompiani si conferma come un Editore attento e prezioso, regalandoci un oggetto-libro pregevole, d’impatto, stretto in una sovracopertina che sembra d’oro e forse è proprio d’oro, visto il miracolo inestimabile che contiene.

Sulla facciata l’impressione sfuggente di un uccello, qualcosa che vola e non può essere catturato, qualcosa che è già per metà fuori dal nostro campo visivo.


Accoppiamenti giudiziosi

Abbinare un vero capolavoro è molto difficile. Ogni idea sembra forzata, balzana, indegna, ma questo è un libro enciclopedico e generoso, si dona senza riserve: assaporatelo con una buona tazza di chai masala, meglio se preparato a casa davanti a un camino mentre fuori fa freddo.

Mettete in un pentolino tre parti d’acqua e una di latte intero di buona qualità.

Unite pepe nero, cardamomo schiacciato, semi di finocchio, cannella e zenzero e portate a bollore, poi lasciate sobbollire per un quarto d’ora. Alla fine aggiungete il tè, rigorosamente nero e deciso, e lasciatelo in infusione tre minuti, poi aggiungete lo zucchero e filtrate con un panno.

Quando lo versate, prima di berlo, vi prego, guardatelo scorrere e innamoratevi.

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