“Bubble shooter” di Grazia Palmisano

La luce del frigorifero, debole e funerea, mi illumina la faccia mentre guardo il contenuto scarno dei ripiani. Il barattolo, con il dito dentro, è sempre lì. Richiudo, torna il buio. Mi sarò sbagliata, forse il rumore arrivava dal pianerottolo. Controllo dallo spioncino, la luce delle scale è spenta, non c’è nessuno.
Mi rimetto a giocare. Sono arrivata al livello 1.589 dello spara bolle. Un messaggio, è Luciano:
– Sei a casa, vero?
Che me lo chiede a fare, tanto lo sa, e se gli rispondo inizia la solita insistenza. Lo ignoro e continuo a giocare.
– Lo so che sei lì.
La sera di solito me ne sto accanto al mio mini stereo, ad ascoltare musica e giocare col cellulare. Finché Luciano non si attacca al citofono, insistendo per costringermi ad aprire, dicendo:
– Sei in soggiorno,  vedo la luce accesa.

Era vero, la porta finestra è su via Vanchiglia, e dalla strada si vede. Non avevo mai pensato che qualcuno l’avrebbe usata per sorvegliarmi. Lo ignorai, non smise, lo ignorai ancora di più, insisteva, alla fine salì, abiti a terra, intimo per aria, unione da disperazione, mica ci amiamo, e nemmeno siamo amici, mai stati innamorati, mai nemmeno piaciuto, mi garbava solo il suo dirmi:
– Che tipa strana che sei.
Quando se ne andò, memorizzai di non stare più in soggiorno. Non ci sono tapparelle, quelle sarebbero state l’ideale, invece attraverso gli scuri la luce si nota. Il sabato successivo mi rifugiai in cucina, la porta finestra dà sul balcone e il balcone si affaccia in un cortile. Però la scena si ripeté. La sera dopo lasciai la luce accesa e feci il giro, per capire come avesse fatto. In effetti da una particolare angolazione si riusciva a intravedere una minuscola parte della porta finestra. Provai a rientrare a casa, chiudere gli scuri lato cortile, tornare in strada e verificare: si vedeva ancora che c’era qualcuno in casa. Allora stasera ho spento le luci, tutte, sono sul divano, al buio, illuminata solo dal display del telefono. Luciano però lo sa che sono qui.
Lui era stato il solo a insistere, quando avevo deciso di non frequentarli più:
– Ma perché non esci?
– Mi annoio.
– Prima non ti annoiavi, stavi con noi, andavamo in birreria, a ballare, che è successo?
Non ebbe mai la risposta ma non smise di cercarmi. 

Sono al livello 1.615. Sono facilissimi, niente a che vedere con quelli dell’altro bubble shooter. Era un rescue, e non sempre si riusciva a capire dove diamine fossero i conigli da salvare. Quando alla fine lo capivo, dopo aver rifatto più volte lo stesso livello, le munizioni non bastavano mai e perdevo in continuazione. Ripartivo, caparbia, e decisa a salvare i conigli, più che altro a passare il livello, era una questione tra me e lo sviluppatore, ormai, i conigli potevano pure crepare. Appena formulavo il pensiero, però, guardavo con aria pentita lo schermo, sperando che i conigli non si fossero accorti che di loro non mi fregava molto, anche se non era del tutto vero. Comunque impiegai mesi a completare tutti i trecento livelli. Una volta finito mi sentii abbandonata. La fine di una relazione intensa. Nel frattempo Luciano mi aveva fatto venire la paranoia di essere vista, allora dal play store facevo attenzione a leggere la sezione “sicurezza dei dati” e nessuno soddisfaceva tutti e quattro i requisiti: non trasmettere i miei dati, cancellarli se lo chiedevo, non rilevare l’attività del mio telefono, criptare i dati in transito. Alla fine ho trovato questo bubble shooter, che nemmeno dice quanti livelli ci siano in totale. Però soddisfa tutti e quattro i requisiti, magari mente, ma quello lo fanno tutti. È un pochino noioso per quanto è facile, non ho da battere nessuno, niente animaletti da salvare, tutto piatto, tranquillo e prevedibile. Provando a scorrere la schermata iniziale, per verificare manualmente quanti fossero i livelli, ero arrivata fino al 3.567, poi avevo smesso, il polso aveva uno strano tremito, gli occhi lacrimavano, le spalle mi bruciavano. Però non mi è mai passata la voglia di capire quando finirà. 

– Apri, dai.
Ho letto dal box notifiche, così non si accorge dalla spunta che ho visualizzato il messaggio.
– Lo so che sei lì.
Solo Luciano mi continua a cercare, gli altri hanno smesso. Via via che non rispondevo, non hanno più telefonato, né mandato messaggi per sapere come stavo, perché non uscissi più con loro, che fine avessi fatto. Naturale, con gli altri non facevo sesso. Nemmeno con Luciano, è lui che fa sesso con me. Io concedo la mia solitaria freschezza serale, per un contatto epidermico che non è chiaro cosa dovrebbe darmi.
È dalla sera del dito che non ci vediamo. Gli auguro di finire sotto un tram, un tir, un treno, un qualsiasi mezzo che gli renda impossibile arrivare fino al mio citofono. Non deve per forza morire, solo sparire dalla mia vita.
Vado allo spioncino, il rumore l’ho sentito di nuovo, questa volta la luce per le scale è accesa, respiro piano, incollata alla porta, un tonfo qui fuori, la suoneria di notifica in cucina, non so se andare o rimanere. Una sirena in strada, la vicina passa davanti allo spioncino, sento le chiavi nella serratura, è rientrata a casa. Sospiro, torno sul divano, sto sudando freddo. Luciano non arriverebbe a farmi del male, è solo che rompe in maniera indicibile.

– Non sai niente di Patrizia, non ti permettere di parlare di lei.
Mi freddò con un tono che non aveva mai usato, non ci frequentavamo ancora, era solo l’amico di Giulia, quella che all’epoca era la mia migliore amica. L’epoca delle migliori amiche finì quando allo specchio mi resi conto che c’era solo il mio volto. Luciano era un perso qualsiasi, Giulia era specialista nello scovarli e presentarmeli. Di solito li evitavo,  me ne stavo per i fatti miei, mai nessuno dentro casa mia. La sera che nella mia testa passai di livello fu quella in cui Luciano indossava una maglietta col volto di una donna. Luciano parlava con Giulia, lei gli chiese:
– È Patrizia?
– Sì.
Rispose con orgoglio, allargando con le mani il tessuto, per appiattirlo e rendere più chiaro il ritratto.
– Vi vedete ancora?
– Quando è libera dal locale.
A me faceva ridere, era anche brutta come riproduzione, dissi:

– E tu porti sul petto la tua donna?
Non lo sapevo ancora che c’era un problema tra lui e Patrizia.  Giulia mi guardò, con un muto poi ti dico. E poi, in macchina, tornando a casa, io e lei da sole, mi spiegò:
– Patrizia non è la sua donna. Lavora in un locale di strip-tease, lui va spesso a vederla ma non stanno insieme.
A Giulia piacevano da matti quelle storie pese, come le chiamava lei. A me no. Era un treno che poteva travolgermi, time to go, baby, come on. Quando una decina di minuti dopo,  mentre io parlavo con Giulia, lui mi disse “che tipa strana che sei” io ero già pronta a lanciarmi sui binari.  Si sa come vanno queste cose. Lui ama lei, che non ama lui, allora lui continua ad amare lei, ma cerca un’altra lei che faccia a lui ciò che lui vorrebbe gli facesse la prima lei. La seconda lei ero io. Sguazzo nel ruolo di eterna seconda, è un posto scomodissimo ma la comodità è data dal sapere alla perfezione cosa fare.

Cominciò così e finì la sera che mi gridò:
– Patrizia non la devi nominare.
– Guarda, hai rotto il cazzo tu e Patrizia, se te ne vai proprio, te e la tua donna idiota su maglietta.
E lanciai un coltello, nelle mie intenzioni per terra, invece lo colpii di striscio, ma davvero di striscio, a una caviglia. Nulla di che, non si era fatto niente di niente, nemmeno lo avevo graffiato.
– Sei cretina!
– Sparisci, vattene da casa mia.
Tanto però si sente sempre il tremito nella voce, persino quando non c’è, i lupi lo vedono se sei una pecora o una belva. Senza vestiti poi, ancora più facile vedere che non sono un lupo. Raccolse il coltello, lo mise a posto, rimise a posto anche me e dopo, rivestitosi, se ne andò. Io avviai il bubble shooter e mi misi a giocare. Non ricordo il livello, ma continuai fino all’alba, era sabato notte. La domenica dormii fino a tardi. 

Non si faceva mai sentire a distanza ravvicinata, invece due soli giorni dopo, il lunedì, arrivò un messaggio:
– Mi vieni a trovare?
Quello era ancora più strano, era sempre lui a trovare me a casa, mai andata io da lui. Non sapevo che fare, non risposi, ero curiosa di capire cosa lo avesse portato a quel cambiamento, ma riuscii a resistere. La sera mi arrivò un messaggio di Giulia, ancora più strano, ormai non si faceva sentire più:
– Hai saputo di Luciano?
E pensai è morto, l’ho ucciso, poi mi diedi dell’idiota, era uscito vivo da casa mia, però non sapevo se rispondere o no. Se lo facevo, palesavo la mia curiosità, se non lo facevo, diventavo matta per la curiosità, risposi:
– No.
Sperai che rimanendo telegrafica la risposta potesse risultare distaccata.
– È finito al pronto soccorso.
– Quando?
– Sabato notte.
Mentre io giocavo, dopo che se ne era andato. Giulia riferì che era già tornato a casa, che lo andavano a trovare e se volevo andare con loro. Non sapeva niente di me e Luciano? Lui non le aveva spifferato niente? Andai, abitava in zona Lingotto, parecchio lontano da me. Tutti avevano portato un regalo, io no, io lo guardavo un poco stranita, di nuovo in mezzo a un gruppo che fino a qualche mese prima era stato anche il mio. 

Luciano mostrò a tutti la mano fasciata. E il dito nel barattolo di vetro. Raccontò di essere caduto in moto. Il mignolo era distrutto, finito sotto al manubrio, schiacciato e trascinato sul selciato, senza guanti di protezione. Chi lo aveva soccorso lo aveva recuperato, ma non era stato possibile riattaccarlo. Non era bello per niente da vedere, in quel liquido che ingrandiva gli sfilacciamenti della carne livida. Qualcuno si sentì male, qualcuno ghignò, io mi sentivo fuori dal corpo. Perché mi guardava, per controllare la mia reazione? Quando stavo per uscire, erano andati via tutti ormai, mi disse:
– Tienilo tu.
Aveva afferrato il barattolo e lo aveva allungato nella mia direzione. Indietreggiai, mi faceva un po’ ribrezzo vedere là dentro una parte di una mano che mi aveva toccata, tenuta, eccitata, lasciata insoddisfatta,  dissi:
– Per quale motivo?
– Patrizia non può.
Allungai il braccio, sentii il vetro freddo contro i polpastrelli, me ne andai.
Tenni con cura il contenitore ospedaliero, con dentro il dito maciullato, fino a casa. Lo poggiai su un ripiano qualsiasi, erano tutti vuoti. Lo guardai a lungo, galleggiante e immobile, poi chiusi lo sportello del frigo e mi misi a giocare a bubble shooter. I livelli sarebbero finiti, prima o poi.


L’autrice

Grazia Palmisano ogni tanto cambia vita, lavoro, città e regione. Dal trullo pugliese, alla mole antonelliana, all’hinterland milanese, seguendo una direttrice che in origine puntava al Borneo. Legge per curiosità, cammina per desiderio, scrive per diventare ricca. Protegge le prose, pilucca poesie e fraseggia con gusto.

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