“Le schegge” di Bret Easton Ellis

Il miglior modo per parlare di sé è mentire e Bret Easton Ellis lo sa fare davvero bene.

Leggendo Le schegge, il suo ultimo romanzo portato in Italia da Einaudi, si fatica a distinguere la realtà dalla finzione: colpa dell’omonimia fra protagonista ed autore, certamente, ma anche di alcuni eventi chiave che sembrano rincorrersi fra pagina stampata e vita vissuta: i titoli dei libri effettivamente pubblicati da Ellis, la sua gioventù dorata nella Los Angeles sfavillante degli Anni Ottanta, le scuole private, i marchi della moda cuciti addosso come una nuova identità.

Il bisogno di definire e di definirsi unisce i frammenti di questa biografia infedele alle vicende cruente di un predatore latente e invisibile, il Pescatore a strascico. Ellis insinua l’orrore negli occhi del lettore con discrezione ed eleganza, infilando, nella trama perfetta di un’America patinata, i fili scomodi della leggenda nera di un serial killer.

Alex Colville, Pacific (1967)

Questo fantasma – questo Pescatore a strascico – si sarebbe accanito nel 1981 sulla gioventù losangelina e sui suoi animali domestici, trucidando e assemblando cadaveri come pezzi di un puzzle cruento e provocatorio in una furia tanto incomprensibile quanto esplicita.

Durante la lettura non ho potuto fare a meno di cercare più volte informazioni su questa figura e su Bret Ellis e su tutti gli altri personaggi. Mi aspettavo ritagli di giornale, vecchie foto, pagine Wikipedia. Alla disperata ricerca della verità, come il protagonista di questo libro enorme e perfetto, mi sono interrogato fino all’ultima pagina sull’esistenza o meno di un serial killer di questo tipo, capace anche solo di ricordare vagamente la vicenda narrata. Mi serviva un colpevole, un maniaco invisibile acquattato vicino alla gioventù immortale e fragilissima raccontata da Ellis nelle sue opere precedenti. L’ho cercato, braccato, seguito, eppure non ho trovato niente. Forse è proprio questa la cosa più spaventosa.


L’adolescenza come massacro

Ellis riesce a calare il lettore dentro un ambiente chiuso, che descrive da vicino con trasporto e precisione: la gabbia d’oro dei giovani privilegiati che negli Anni Ottanta erano impegnati a scorrazzare sulle auto costose dei genitori lungo la West Coast, fra cocaina e psicofarmaci, musica e moda, gloria e infamia. È difficile immaginare come questa situazione possa tradursi in tragedia e trovare una profondità che va ben al di là di una sottotrama crime: scavando a fondo i personaggi Ellis disegna la propria adolescenza con il chiaroscuro drammatico della cronaca nera.

Alex Colville, Horse and Train (1954)

Seguendo la scia di sangue è possibile notare come uno spettro doloroso si insinui sempre nelle esistenze dei ragazzi raccontati da Ellis: mancanza di prospettive, di futuro, incertezza? L’adolescenza è una scena del crimine, è un anticipo di morte in cui tutto appare in bilico sull’orlo di un precipizio, pronto a finire.

È un clima decadente da fine impero quello che Ellis confeziona per le sue vittime e per i suoi carnefici: le feste e la musica servono per esorcizzare un dramma, quello della vita adulta, che si fa sempre più vicino mano a mano che i giorni cadono dal calendario e con essi i sogni, le possibilità, le ambizioni.

Il profilo più tragico e puro di Bret – il personaggio, facile schermo, quello che non ha ancora scritto Meno di zero – affiora nei momenti in cui si accorge di essere bloccato su un binario da cui è impossibile fuggire: la lotta fra personaggio e autore, uniti dallo stesso nome e dagli stessi demoni, finisce per diventare il corpo a corpo feroce fra le infinite possibilità della gioventù e la solidità monolitica della maturità.

Definire significa anche distinguersi. Non a caso i protagonisti della storia nelle prime pagine sembrano tutti uguali. Sono parti indistinguibili di un gruppo qualunque di giovani ricchi. Sembrano figurine uscite da una serie americana o da un vecchio slasher: la leggerezza e l’indifferenza sono la loro malattia e il loro carapace per ripararsi da un mondo esterno pronto a divorarli.

È nel corso delle pagine che i singoli caratteri emergono come persone vive (ricordi, fantasmi?) e si staccano progressivamente dalle dinamiche del gruppo e dalle sue maschere prefabbricate per cercare un’individualità, sempre in modo sofferto.

Alex Coville, Dog and Priest (1978)

Crescere è in fondo una rottura del guscio, uno strappo doloroso, una scelta. È uccidere le altre versioni di sé per sceglierne una sola da portare avanti, come una recita, come un film, all’infinito.

Il giovane Bret, voce narrante dell’intera vicenda, mentre ci parla si guarda alle spalle e indaga il conflitto sordido che lo dilania fra un’eterosessualità di facciata e un desiderio selvatico e sconveniente che lo porta verso gli altri uomini, fra i rapporti tranquilli di un annuario scolastico perfetto con le sue foto ordinate e i suoi sorrisi di circostanza e i dissapori sommersi di vite sempre più incompatibili, destinati a mandare in frantumi l’idea di futuro che tutti sembrano sforzarsi di condividere.

Mentre Bret e i suoi amici crescono, si scoprono, si perdono, un mostro invisibile uccide persone sempre più vicine alla loro scuola e alle loro frequentazioni, stringendoli in una morsa che diventa l’unica via d’uscita per un’esistenza asfissiante nella sua rigida e luminosa predestinazione.

Alex Colville, In the Woods (1976)

Accoppiamenti giudiziosi

Ho provato a fare ordine, a mettere un volto ai personaggi come hanno fatto alcuni utenti di Reddit, ma non è servito a molto. I personaggi si mimetizzano nella membrana opaca che separa la realtà dall’invenzione letteraria.

Chi riesce invece a dare corpo meglio di chiunque altro alle sensazioni evocate da Ellis è il pittore canadese Alex Colville, che con il suo stile unico e immediatamente riconoscibile regala agli osservatori situazioni apparentemente ordinarie, spesso basate sul mare o su animali domestici, in cui instilla un senso vaghissimo ma manifesto di catastrofe imminente, di minaccia.

In alcuni dei suoi lavori più famosi compare un elemento di rottura, capace da solo di concretizzare l’imminenza di un pericolo intangibile: una pistola dimenticata sul tavolo, uno sguardo troppo fisso, una posa innaturale, un treno che sembra sul punto di travolgerci o ancora un vuoto innaturale, una solitudine troppo esibita.

L’elemento perturbante, ne Le schegge, è incarnato da Robert Mallory, un nuovo studente arrivato a Los Angeles per seguire l’ultimo anno di scuola.

Robert seduce e respinge perché è impossibile da decifrare fino in fondo: da subito tutti gli studenti e i loro equilibri ne sono in qualche misura sconvolti e anche Bret, comprimario nel gruppo di ragazzi più popolari, si dilania fra l’attrazione fisica che prova da subito per il nuovo arrivato e il sospetto divorante che dietro gli omicidi del Pescatore a strascico ci sia proprio lui.

Come nei dipinti di Colville, anche il romanzo di Ellis cela sotto la perfezione formale e la bellezza composta dei corpi in disagio che è difficile definire: è la sensazione di essere solo personaggi nel gioco più grande di qualcun altro? È la morte, che appare ogni tanto nelle pagine dall’apparenza più innocua, fra situazioni mondane e teen drama?

Colville riesce anche ad esprimere alla perfezione l’ideale di bellezza che più volte Ellis associa al mondo dorato dei suoi personaggi: l’indifferenza.

Alex Colville, Couple on beach (1957)

Lo cita espressamente per riferirsi a Susan Reynolds, la più bella, l’amica del cuore di cui chiunque è innamorato da sempre. Mano a mano che il suo personaggio matura e si approfondisce, la sua bellezza fisica si rivela sempre di più in un distacco incolmabile, in un senso di irraggiungibilità che è al contempo freddo ed erotico, passivo e dominante.

Colville ed Ellis esaltano in questo modo il mistero che sta fuori da resoconti e inquadrature, suggerendo senza spiegare, sospettando senza rivelare: la loro opera parallelamente si sviluppa sul sottile confine fra realismo e delirio e si nutre di dettagli, visioni, illazioni capaci da soli di creare un mondo di ossessioni.

Ellis racconta, si fa protagonista e si denuda nella promessa di rivelarci il lato più autentico delle cose, ma nel farlo omette, inventa, elide. Prospettive e rimaneggiamenti rendono così il suo resoconto infedele e parziale.

Ma tutti mentono, tutti inventano e fanno della propria memoria una carneficina pur di uscire vincitori, pur di sopravvivere, e alla fine cosa succede a Los Angeles e cosa succede nel mondo lo sanno solo i testimoni oculari, i pochi: il resto è speculazione e fantasia, il resto è letteratura.

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