“Costellazioni del crepuscolo” di Francesco Permunian

Cogliere la fugace bellezza del decadimento, celebrare la decomposizione, cantare l’infimo, il grottesco, lo sporco.

Sembra questo l’obiettivo di Francesco Permunian nelle opere che compongono Costellazioni del crepuscolo, preziosa ripubblicazione targata Il Saggiatore. È uno sguardo gettato fugacemente alle spalle, anzi è una torsione disumana eppure necessaria, che ci permette di risalire la corrente della carriera di uno scrittore immediatamente riconoscibile, furente e languido come il lago che macera le miserie umane in un asfittico teatrino provinciale fatto di titoli onorifici e ambizioni annacquate, muschi, muffe, corrosioni.

Leggendo le sue prime pagine, quelle dedicate alla Cronaca di un servo felice, impariamo da subito ad ambientarci nello sproloquio dei suoi personaggi che sembrano folli caricature intrappolate nelle proprie commediole così a lungo da finire corrotti dalla tragedia: la penna di Permunian scava dentro le biografie piatte di scaltre vecchie ninfomani e dame bigotte, scavalcando con agilità da saltimbanco il confine che separa la vecchiaia dalla morte, il realistico dal fantastico.

Il protagonista di questo primo romanzo è Ermete Carafa, nobile per nascita e servo per vocazione: da sempre si occupa della tirannica suocera e delle proprietà della sua famiglia con viscida arrendevolezza, strisciando fra le tonache di una chiesa allo sfacelo e i vecchi rituali di una haute societé virata in farsa, al tempo stesso troppo ricca per essere ignorata e troppo stupida per comprendere la propria condizione miserabile.

Poco importa se le peripezie narrate prendono una deriva amara pur continuando a farci sorridere: fra corse automobilistiche e contest sessuali, bambole e orchestre inquietanti, la vecchiaia è immortalata in tutta la sua drammatica comicità con parole crudeli e precise, nell’andamento palustre di una provincia schiumosa, quasi ultraterrena.

Ermete costituisce un ponte ideale fra le diverse narrazioni che percorrono questa raccolta, sporgendosi dall’abisso della sua squinternata biografia terrena verso il buio di un’altra storia, quella del medico di un paese sul Garda, il dottor Porfirio Papas.

Tim Silver, Oneirophrenia (2015-2016)

Oltre la coltre gustosissima di un pugno d’appunti sparsi – più visioni che storie – lo seguiamo nei suoi vagabondaggi insonni al centro di Camminando nell’aria della sera, altro caposaldo della letteratura di Permunian, altro serraglio di animali umanissimi e sbagliati.

Il medico, dilaniato dai sospetti d’infedeltà di una compagna troppo giovane, si trova a fronteggiare la propria mortalità nel dialogo quotidiano con l’evidente decadimento generalizzato della folla di pazienti che ogni giorno lo assale con le sue storie minuscole e vergognose, lo prega, lo vezzeggia, lo disprezza perché lui in fondo la sua figura incarna ciò che tutti temono: lo scorrere inesorabile del tempo, il disfacimento della carne.

Porfirio Papas ed Ermete Carafa sono due volti dello stesso Giano: non si riescono a vedere, sembrano diversi, ma in realtà sono entrambi fragili facce della stessa pagina, immersa nell’acquitrino stagnante di una vita marginale. Permunian li fa dibattere come marionette – qualche bracciata ancora – poi li affoga dentro un liquame scuro e malsano, fatto di ironia spregiudicata e furiosa iconoclastia, per costringere anche il lettore a sporcarsi, ad annaspare.

In fondo la vita umana ha sempre in sé il seme della morte, un destino annunciato e inevitabile, una consapevolezza che è impossibile ignorare: è questo l’orrore che nutre Permunian, è questa la carica sommersa ed esplosiva del suo horror sussurrato e blaterante. Il tempo nelle sue pagine diventa aneddoto e condanna e si erge come un monumento osceno e onnipresente sulle vite che schiaccia, per deformare i personaggi in caricature morbose, riciclare i corpi, spingere la razionalità verso il baratro oleoso della follia, trascinare ogni cosa verso la fine.


Accoppiamenti giudiziosi

Le parole di Permunian non sono mai buie, lasciano anzi trapelare risate amare anche negli snodi più inaspettati. Sono ghigni crudeli più che risate composte, sono latrati che conquistano e squartano il lettore con eguale efficienza: il suo modo di trattare i personaggi ricorda quello di Tim Silver, artista australiano noto per il suo prezioso lavoro sul tema della caducità e della decadenza.

Come Permunian, anche Silver sfrutta il concetto di tempo per creare distorsioni fisiche ancor prima che spirituali: le sue sculture si trasformano e svaniscono, come tutto, ci ricordano la nostra stessa fragilità mentre cambiano e perdono coesione come i ricordi più antichi: nell’opera Rory, ad esempio, la scultura blu di un bambino viene inumidita sino al totale sgretolamento. Il pubblico lo osserva perdere naso e lineamenti, collassare, diventare polvere.

Tim Silver, Rory grown up (2013)

Non è tutto cupo, però, sotto le costellazioni del crepuscolo: c’è vita, c’è crescita. Ogni trasformazione è una tragedia ma anche una rinascita, basta non prendersi troppo sul serio.

Silver realizza questa consapevolezza con Oneirophrenia, serie di sculture di volti riempite di pasta di pane e poi cotte. Il pane – materia vivente e buona per eccellenza – con la forza della lievitazione incrina le sculture, talvolta le fa esplodere ed erutta in conformazioni grottesche che sembrano funghi o nuvole di carne, ricordandoci che siamo solo materiale organico pronto a cambiare, a evolversi, a fiorire, a marcire.

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