“Non c’è suono al mondo più bello e terrificante del lamento di un organo e di un coro che riecheggiano in una chiesa cattolica.”
Difficile dare torto a CJ Leede, penna prodigiosa e fresca dall’America più profonda, quando parla di religione e di fedeli. D’altronde l’approccio cattolico alla fede si è sempre prestato a ottime declinazioni horror, dall’Esorcista di Blatty al demone Valak di The Nun: la transustanziazione che tramuta il vino in sangue, l’adorazione del Cristo morente in croce con la corona di spine e il costato trafitto, i dipinti splatter dei martiri senza occhi e senza pelle sono cicatrici che ogni cattolico porta impresse per sempre negli occhi, sin da quando è piccolo.
Ma c’è dell’altro: c’è la repressione del desiderio, il senso di colpa con cui tutti nasciamo e siamo allevati, il bisogno di espiare i nostri peccati – ancora una volta – nel dolore, nella sofferenza del corpo, nella sua mortificazione.
Dentro l’oscurità che infesta le vecchie chiese come uno spettro affamato si trova però anche una forma particolare di bellezza, la fioritura di un’arte capace ancora oggi di togliere il fiato, la seduzione di un abbandono completo e dissennato alla fede, la disintermediazione del pensiero, in una sola parola l’estasi.
Ed è proprio da qui cheparte American Rapture, da una comunità cattolica dell’America primordiale, quella del Midwest più conservatore. Sophie è una ragazza in piena adolescenza, che affronta i problemi comuni a qualunque teen drama: i ragazzi, il corpo che comincia a cambiare, l’imbarazzo di pensarsi al di fuori dalla propria famiglia d’origine, la voglia di osare.
Peccato che attorno a lei si scateni nel giro di poche pagine l’inferno: non l’antro fiammeggiante e gremito di diavoli cui siamo abituati, bensì un mondo ordinario sconvolto rapidamente da una pandemia completamente inedita. I contagiati non tossiscono e non starnutiscono, diventano solo prede di una furia erotica incontenibile, pronta a trasformarsi in furia omicida.
Fra Romero e I spit on your grave, Leede ci trascina così in una fuga on the road che flirta col romanzo di formazione senza mai perdere il mordente del vero horror: Sophie, alla ricerca del fratello, dovrà unirsi ad altri sopravvissuti, imparare a convivere col proprio desiderio e con quello degli altri e soprattutto fare a meno della comunità chiusa che l’ha tenuta protetta e segregata sin dalla nascita.
È una storia di legami, di traumi privati e collettivi e di famiglie che superano e integrano i semplici legami di sangue, interpretando in un certo senso l’idea di kinship di Donna Haraway, ma è anche un romanzo che esplora il tema portante del desiderio e della sua negazione, destinata come il sonno della ragione a generare mostri.
Dalla morale bigotta della sua chiesa al girone infernale degli zombie ipersessuali, assisteremo con Sophie a un percorso di liberazione e definizione di sé che passa necessariamente attraverso la violenza. È violenta l’educazione che viene impartita agli studenti nella scuola cattolica, è silenziosamente violento il rapporto di repressione fra genitori e figli, è violenta infine l’esplosione – liberatoria, terrificante, assoluta – di sesso e morte che bracca i contagiati dentro uno stadio bestiale e delirante.
Gian Lorenzo Bernini, Estasi della Beata Ludovica Albertoni (1671-74)
L’autrice, con una voce immediata e autentica, riesce a creare un’opera originale che non si fossilizza mai sugli stereotipi della letteratura di genere, ma sfrutta anzi appieno la leva speculativa della pandemia e della classica “orda zombie” per parlarci dell’America di oggi, lacerata fra modernità e tradizione. Sophie si trova a metà fra i due mondi, fra la clausura rassicurante di una famiglia chiusa e omofoba e le possibilità sterminate di un mondo senza regole e senza autorità.
La maturazione della protagonista passa attraverso una parte distruttrice seguita da una parte costruttiva: per far spazio alle nuove consapevolezze e ai nuovi rapporti occorre innanzi tutto sgomberare il campo dalle rigidità della scuola e della famiglia, dai dettami della religione, dai dogmi. Questo passaggio è distruttivo, cruento, necessariamente furioso come lo è per chiunque si allontani da una fede troppo ingombrante: ogni adolescenza è sempre una carneficina.
A farne le spese in questo caso sono gli idoli di cartapesta di un’America tormentata, che prova sistematicamente a ingabbiare i giovani, a farli a pezzi per inscatolarli dentro contenitori comodi – una professione, un ruolo socialmente riconosciuto, la maternità. È bello e liberatorio vedere tutto questo sbranato da una torma di morti viventi ossessionati dal sesso, anche se questa guerra – interiore ed esteriore – comporta come ogni conflitto un prezzo molto caro da pagare per chi si trova a combattere.
Ecco dunque l’altro grande tema del romanzo: la perdita.
Crescere significa anche imparare ad affrontare lo spettro di chi non c’è più, andare avanti. Una riflessione delicata sul lutto potrebbe sembrare anomala nell’ambientazione molto rock scelta dall’autrice per questa storia frizzante e sanguinosa, eppure nel testo si trovano pagine che sanno ben dosare dolcezza e malinconia, donando profondità e maturità a questo Bildungsroman sui generis che non disdegna altrove soluzioni narrative veloci, virate spericolate e un brio da pulp.
A unire santità e perdizione, ancora una volta, torna l’ambiguità ben riassunta da una singola parola: sacrificio. Etimologicamente questo termine indica proprio l’atto di rendere sacro: allora è un sacrificio la voglia di assecondare la distruzione generata dalla pandemia zombie, anzi contribuirvi attivamente per distruggere ogni cosa? O forse sopra giaculatorie e rosari e bigotterie d’ogni genere è veramente sacro solo l’atto con cui ci si immola per salvare la famiglia che ci si è creati nel bel mezzo della tragedia?
Accoppiamenti giudiziosi
L’estasi esce dall’arte barocca con tutta la sua ambiguità per arrivare nell’America di CJ Leede, lo fa scorrendo nel corpo contratto di Santa Teresa o nella sua bocca socchiusa.
Nel tempo la raffigurazione della santa scolpita dal Bernini ha suscitato reazioni contrastanti. Impossibile non riconoscere un piacere fisico nel gorgo dei tessuti di marmo, ispirati dalle stesse parole con cui Santa Teresa d’Avila descrisse la sua esperienza di transverberazione:
Un giorno mi apparve un angelo bello oltre ogni misura. Vidi nella sua mano una lunga lancia alla cui estremità sembrava esserci una punta di fuoco. Questa parve colpirmi più volte nel cuore, tanto da penetrare dentro di me. II dolore era così reale che gemetti più volte ad alta voce, però era tanto dolce che non potevo desiderare di esserne liberata. Nessuna gioia terrena può dare un simile appagamento.
Gian Lorenzo Bernini, Estasi di Santa Teresa d’Avila (1647-52)
Negli anni le interpretazioni psicanalitiche di quest’opera si sono affastellate, fra i commenti degli osservatori che si sono avvicendati di fronte alla scultura – “Si stenta a credere che si tratti di una Santa”, ebbe a dire il Marchese de Sade.
Ciò che resta, oltre l’impressionante maestria dell’artista, è sopra ogni cosa la capacità straordinaria di questa scultura di suscitare ancora oggi autentica meraviglia in chiunque si trovi al suo cospetto, una vertigine indotta anche da un’atmosfera studiata nei minimi dettagli: l’espressione del cherubino, le pieghe del drappeggio, i palchetti laterali su cui altre sculture si affacciano per assistere alla scena.
Soprattutto, come CJ Leede in questo lavoro di chiaroscuri, il Bernini gioca con le ombre: l’oscurità della Chiesa di S. Maria della Vittoria diventa nelle sue mani il teatro perfetto per uno spettacolo esagerato, sensuale e casto allo stesso tempo, grazie a una finestra nascosta che illumina attraverso i suoi vetri gialli una raggiera di bronzo dorato.
La stessa cosa avviene con l’Estasi della Beata Ludovica Albertoni, l’altra grande opera dedicata dal Bernini a questo tema della mistica cristiana. Anche qui la protagonista si contorce nella penombra creata da finestre invisibili per l’osservatore, anche qui il confine fra piacere fisico e congiunzione col divino appare molto labile.
Cos’è dunque l’estasi di queste sante, è peccato o santità, è un piacere lancinante per il corpo o solo puro deliquio per lo spirito? O forse nelle sculture si nasconde, come direbbe Georges Bataille, una forma di erotismo sacro che trova esaltazione proprio nell’imposizione di regole severe e nel loro superamento?
Forse è proprio l’erotismo – soffuso, proibito e intravisto – a scavare per questo romanzo una strada luminosa fra le macerie di una civiltà al collasso e le brutture di un oscurantismo dilagante. Sempre Bataille: “Dell’erotismo possiamo dire, innanzitutto, che è l’approvazione della vita sin dentro la morte”.
Estasi Americana
CJ Leede – trad. Gaja Cenciarelli – Mercurio Books, 2025