“Giorno della liberazione” di George Saunders

Il 4 luglio è appena trascorso – bandierine e fuochi d’artificio colorati – eppure non celebriamo con George Saunders l’indipendenza quanto piuttosto la liberazione: è con Liberation Day – tradotto in Italia da Cristiana Mennella per Feltrinelli – che questo maestro della forma breve ci apre festeggiando le porte delle sue ultime short story, dopo la fama e la gloria giustamente meritate con le raccolte CivilWarLand in Bad Decline e Pastoralia e con il romanzo Lincoln in the Bardo.

Lo stile è sempre lo stesso: un sofisticato equilibrio fra realismo e weirdness, un uso elegantemente disinvolto dell’ironia anche nelle situazioni più amare, un focus spietato sui nostri peccati capitali e una propensione innata ad indulgere alla distopia, all’esperimento mentale, alla provocazione.

Ci sono ambientazioni che Saunders ha già ampiamente dimostrato di trovare stimolanti: i parchi a tema, ad esempio, che esplodono in una nuova forma di delirio, ancora più estrema, nel racconto Ghoul – già precedentemente tradotto da Zona42 con il titolo di Ghoul accovacciato numero 8 – ma anche i microcosmi familiari fatti di sobborghi asfissianti, vite domestiche americane ormai tremendamente familiari anche oltreoceano.

La riflessione di Saunders aleggia sugli Stati Uniti contemporanei come una profezia, concedendosi con grazia ad alcune tematiche da sempre care al grande narratore di Amarillo senza mai rinunciare a morsicare il lettore, a metterlo a disagio, insomma a risvegliarlo dal torpore in cui sarebbe comodo che restasse per sempre.

Ne è appunto un esempio l’ossessione per l’esibizione e per la finzione che imperversano nei parchi dei divertimenti: a fronte di un lavoro disumano e disumanizzante, il pubblico assiste alla messa in scena di una realtà alternativa che mastica la storia e ingerisce la storia e digerisce la storia solo per riprodurre qualcosa di completamente diverso dall’originale. Una narrazione, contraffazione, un inganno?

È tutto un infinito divertimento – come direbbe David Foster Wallace – anzi è la tirannia dell’intrattenimento che svuota di significato la realtà da cui prende ispirazione e si riproduce demenzialmente anche senza pubblico, anche senza alcun senso: Saunders ci costringe con i suoi racconti ad assistere ai peggiori spettacoli, alle umiliazioni autoinflitte, alle più vergognose pagliacciate senza applausi e senza risate, e lo fa nello stesso modo eroico, sottile e tagliente cui ci ha abituati con le sue storie più riuscite del passato.

È distopia, insomma, ma è anche amara constatazione del presente.

Non è un caso che la condizione di questi professionisti dell’intrattenimento assuma sempre più spesso i connotati di una vera e propria schiavitù: quella dei narratori moderni, asserviti al gusto di un pubblico idiota e assuefatto alla banalità, ma anche più prosaicamente quella dei protagonisti del racconto eponimo che apre questa raccolta, Giorno della Liberazione.

Si tratta in quest’ultimo caso non di scrittori in balia di una torma di lettori capricciosi, ma di persone artificialmente private della memoria e della consapevolezza di sé, legate ad un muro, costrette a rispondere ai comandi di una strana tastiera per declamare i deliri compositivi del loro padrone.

È assurdo, ributtante, ridicolo: insomma è il miglior Saunders che torna alla carica.


Accoppiamenti giudiziosi

Saunders ambienta le sue storie in un futuro prossimo spesso difficilmente distinguibile dal presente. Tornano infatti, sommersi o mascherati, le medesime inquietudini e i medesimi problemi che incrinano la stabilità del nostro tempo: l’inerzia in cui sempre più spesso ristagniamo anche di fronte agli abusi peggiori, il sonno che ci toglie la voglia di reagire e il bisogno di comprendere tutto quello che ci circonda, le ossessioni e le storture che le narrazioni provocano sulla realtà, influenzandola e deformandola nel tentativo di sostituirsi completamente ad essa.

L’idea di creare un contenitore unitario per questi incubi si presta tanto a una selezione di storie brevi quanto a un’idea provocatoria e originale come Dismaland di Banksy.

Strutturato a imitazione di un grottesco amusement park, questo insieme di installazioni fu attivo dal 21 agosto al 27 settembre 2015 grazie alla collaborazione di 58 artisti. Il risultato, spiazzante quanto un racconto di Saunders, fu un susseguirsi di visioni sconcertanti in grado di mettere a disagio i 4000 visitatori giornalieri ammessi a vagare fra le diverse installazioni: un castello à-la-Disney che celava l’attenzione morbosa di alcuni paparazzi su una principessa morta durante un incidente in carrozza, una ruota panoramica arrugginita, barconi radiocomandati pieni di migranti, una sirenetta sfigurata.

Il gusto per l’esagerazione e per la provocazione di Banksy condensa e porta all’estremo le suggestioni che Saunders lascia trapelare fra i suoi racconti. Il divertimento qui assume i connotati di un vero incubo, fra dipendenti tristi e squallidi scorci di sogni ormai naufragati: siamo in un sistema sopraffatto dalle sue stesse illusioni, incapace di mantenere le promesse che ha fatto al suo pubblico e per questo costretto a reiterare uno schema d’inganni e di sopraffazioni.

Anche nelle storie di Saunders scorre una violenza nascosta, latente, capace di trasformare anche i panorami più familiari in piccoli inferni tascabili. Dagli uffici alle sale da pranzo fino alle giostre più creative mai inventate, ogni cosa sembra perfetta per far crescere un senso di disagio nel lettore e costringerlo a guardare senza filtri alle proprie incoerenze.

La raccolta è compatta, perfetta e composita come ogni silloge di storie brevi dovrebbe essere: come Dismaland trova una particolare forza espressiva proprio nella sua natura frammentaria, che rimbalza il lettore fra un nonno disperato per non aver fermato una svolta autoritaria nel proprio paese e un padre costretto a una vendetta sommaria, fra i pettegolezzi distruttivi su un posto di lavoro e figuranti inconsapevoli costretti a manifestare per qualcosa che non comprendono.

La liberazione è una promessa, un miraggio che vibra all’orizzonte mentre Saunders affabula, deride, fa commuovere, indigna, disgusta, dimostrando ancora una volta di essere un grande narratore ma soprattutto un fine conoscitore dell’animo umano e della società contemporanea, che è ancora capace di ritrarre con realismo deformante in ogni suo fragile aspetto.


Tutte le immagini del presente articolo sono incorporate dal sito dismaland.co.uk e provengono dal libro Are We There Yet? Pictures of Dismaland di Barry Cawston

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