“Nero” di Luca Giommoni

Siamo gli unici animali che per mangiare devono lavorare. È una considerazione molto rincuorante, adatta a un lunedì mattina piovoso, fra treni in ritardo e tornelli, un lunedì impiegatizio e grigio.

Il lavoro lo si cerca, lo si studia, lo si perde: ogni mattina mi sveglio, apro la finestra e guardo cosa ci circonda, il lavoro è dovunque, nella nostra Costituzione, nel cantiere che ci martella le tempie davanti a casa, nell’andirivieni di pendolari che sfrecciano sul marciapiede, nelle bollette da pagare, nel sistema. Respiro lavoro, lavoro, evacuo lavoro, il lavoro è la base di tutto.

Non a caso identifichiamo sempre qualcuno col mestiere che fa: il medico, il postino, l’imbianchino. Sarebbe bello identificarci reciprocamente tramite posizioni filosofiche: quello è il nichilista, mio padre nella vita fa l’epicureo, ieri sera ho conosciuto un idealista.

Sarebbe bello, prezioso, ma non è così.

Il lavoro ci definisce, in un certo senso, ci ingabbia in un personaggio eppure ci sostiene, ci dà una base, una struttura.

Al contrario, dunque, la sua mancanza ci lascia indefiniti, sfuocati, ci mangia i contorni, ci fluidifica e confonde: è una tragedia generazionale, lo stigma dell’attesa di occupazione, qualcosa che ci getta fra color che sono sospesi, in cerca di lavoro e dunque di una maschera adatta alla propria fisionomia, a galleggiare in un’infinità di futuri possibili, di definizioni in cui cerchiamo disperatamente di forzarci.

David Shrigley, Worms Work Harder Than Us (2020)

Luca Giommoni per parlarci di lavoro sceglie la strada meno ovvia: la fantascienza. Si può fare fantascienza con tutto, anche con i centri per l’impiego. Con Nero. Il complotto dei complotti (effequ, 2024) entriamo in un mondo molto simile al nostro, eppure diverso in qualcosa di essenziale: esiste una tecnologia misteriosa che sta risolvendo l’annoso problema della disoccupazione.

Nero, il protagonista, è un ricercatore (cerca e ricerca un’occupazione, s’intende). È un professionista, a suo modo, conosce a menadito le regole non scritte di candidature e assunzioni, eppure il lavoro sembra sempre sfuggirgli: ci sono colloqui infiniti, curriculum stracciati, raccomandati che passano avanti. Ci sono archetipi che col suo amico Alfredo battezza in modi che solo loro capiscono fino in fondo, Beppe e Busenga. La sua vera passione, però, sono i complotti.

Ed è forse un complotto comune la matrice nascosta dietro ad ogni leggenda metropolitana, dentro il labirinto inestricabile della burocrazia e del tempo sprecato. Dagli UFO atterrati nell’Area 51 alle inefficienze della pubblica amministrazione italiana, tutto cospira a nascondere un segreto più recondito, inaccessibile proprio perché esibito: il viaggio nel tempo per collocare lavoratori disoccupati in altre epoche.

David Shrigley, Untitled (2020)

Quella dei poteri forti e delle loro manovre nascoste è una via d’uscita comoda, un’autoassoluzione che nel romanzo si ripiega su sé stessa e ritorna ricorsiva a distribuire meriti e colpe in una storia complessa di momenti che si confondono e viandanti temporali che – ironicamente – si fanno involontariamente artefici del proprio destino, quasi a sbeffeggiare l’entusiasmo aziendalista di chi è realmente convinto che per avere successo basta crederci.

Il romanzo si dispiega così fra un realismo pastoso e quotidiano – l’arte della noia dei lavori inutili, delle sinecure improduttive – e il vertiginoso sprofondare nel gorgo di viaggi temporali ed effetti farfalla che diventano causa e soluzione dei problemi che si trovano a fronteggiare.

Ai personaggi ci si affeziona, anzi se ne vorrebbe di più: ci sono molti intrecci riusciti, caricature perfette come il minuscolo faccendiere navajo John Wayne o mamma Marina, la complottista sognatrice. Ci sono anche personaggi che avrebbero meritato più spazio o una storia a sé, come l’immigrato Malang che trova nella Presidente del Consiglio – ogni riferimento a persone realmente esistenti è puramente casuale – una sorta di anima gemella spirituale e accetta di viaggiare indietro nel tempo solo per poterla finalmente conoscere di persona, prima che divenisse irraggiungibile.

Ciò nonostante ogni ingranaggio trova il suo posto ideale e contribuisce alla perfezione alla storia, al suo andirivieni fra passato e futuro, tenendo a bada con disinvoltura l’oggettiva complessità della tematica e rivelandosi capace di un sottile umorismo corrosivo senza mai rinunciare al cuore, alla commozione, all’umanità con cui l’autore impregna ogni suo personaggio.

David Shrigley, Untitled (2021)

Accoppiamenti giudiziosi

Giommoni con intelligenza e acume ironizza sul delirio del lavoro in Italia, fra stage non retribuiti e formazioni senza sbocchi, e lo fa con una storia leggera ma non superficiale, che riesce anzi a coniugare il topos cervellotico del viaggio nel tempo con uno sviluppo originale, provocatorio e delicato.

La sua scrittura agile e l’approccio disincantato che sceglie per la sua opera si coniugano bene con le opere schiette e beffarde di David Shrigley.

I suoi lavori sono iconici, volutamente sgraziati ma non alieni a una certa bellezza surreale: lo sfondo è spesso bianco o monocromo, con qualche parola rivelatrice scritta in caratteri incerti, ci sono animali e oggetti d’uso comune, personaggi stilizzati, c’è la nostra vita quotidiana ripiegata fino a farne un pungolo, uno stuzzicadenti pronto a farci il solletico o a torturarci, comunque a smuoverci.

David Shrigley, Untitled (2021)

Come in Nero, anche nelle opere di Shrigley si respira la farsa, l’esagerazione grottesca che non vuole però spegnere del tutto il suo sottofondo luminoso, il sorriso effervescente e fanciullesco che è in grado di suscitare nei suoi osservatori.

La tematica del lavoro compare più o meno esplicitamente anche nei disegni dell’artista britannico: in una collaborazione recente con una maison di Champagne dichiara che i lombrichi lavorano più duramente di noi. Chissà quale complotto s’inventerebbe Nero, sui lombrichi.

D’altra parte, sicuramente la sensazione di inutilità, la mancanza di meta e di prospettive raccontate da Giommoni sarebbero un soggetto interessante per Shrigley, qualcosa da affrontare con colori sgargianti e qualche frase lapidaria nella sua ovvietà o nella sua fulminea cattiveria.

Ne uscirebbe di certo qualcosa di strano eppure accattivante, qualcosa di simile a questo libro: colorato, folle, capace di sorprenderci e divertirci anche mentre ci parla delle code negli uffici pubblici.


Nero. Il complotto dei complotti

Luca Giommoni – effequ, 2024


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