“Correzione” di Thomas Bernhard

Il cono è un simbolo perfetto, la costruzione ideale per chi vuole correggere o correggersi: parte complesso, dal terreno, con una base solida e ampia e circolare. Poi si alza – si eleva – e intanto si restringe: il cerchio si fa più sottile mano a mano che il cono procede verso l’alto, rimuovendo tutto ciò che non è necessario. Alla fine diventa perfetto, un punto, e poi sparisce.

È questo lo schema alla base di Correzione, uno dei titoli più belli e maturi della produzione di Thomas Bernhard, il maestro, l’austriaco che odia l’Austria eppure non se ne stacca mai completamente, l’autore di alcune tra le pagine più esatte, isteriche e martellanti della storia della letteratura.

Il cono è al centro delle vicende di Roithamer, docente di Storia Naturale a Cambridge, studioso fuori dal tempo di cui apprendiamo la vita solo de relato, dalle parole di un narratore chiamato a riordinare le sue carte postume, le sue idee, immergendosi nella fragile architettura delle sue perfezioni, fra le parentesi di mondo che lo hanno imprigionato e plasmato: la tenuta avita di Altensam, i fratelli, la sorella, la madre così diversa, la scrittura, i ricordi, la foresta austriaca, le vallate scoscese e i crepacci irresistibili che sembrano invitare chiunque a gettarsi nel vuoto.

Mario Ceroli, Discorsi platonici sulla geometria – Uomo con cono (1985-90)

Roithamer è un uomo rinascimentale, in un certo senso, una mente versata in diverse discipline – la matematica, la filosofia, la musica – che continuamente confabula e recita la sua versione del mondo, continuamente corregge e sottolinea il suo sistema di pensiero cresciuto come una distesa di funghi attorno al fulcro della sua vita, o almeno dei suoi ultimi anni: l’abitazione a forma di cono che sta costruendo al centro della foresta per la sorella, perché ne sia felice, perché sia compiuta.

Roithamer è già morto quando lo incontriamo. È impresso nel vuoto della soffitta dell’amico Höller, luogo che aveva eletto a suo studio e punto di osservazione sul mondo: Roithamer continua a esistere, fantasmatico e incorporeo, nelle carte che tappezzano le pareti che lo stringono nella sua riflessione e nelle voci che infestano la sua parte d’Austria, incessanti e spietate, ricorsive.

La prosa di Bernhard è il solito assalto: parole che si ripetono sino a entrare nella testa del lettore come un tarlo, scavando, scendendo in profondità, cercando la luce. Fra di esse Roithamer aleggia come un protagonista invisibile: tutto converge verso di lui, tende al suo delirio lucidissimo, verso la morte e oltre, una chiarezza definitiva che è frutto ed esito di ogni correzione, riscrittura, demolizione ragionata.

Roithamer “non è Wittgenstein ma è Wittgenstein”, così Bernhard, che imprigiona il suo personaggio in un labirinto di testimonianze che si sovrappongono, reminiscenze furiose, un lavoro intransigente e spietato di schermi che frapponendosi fra lettore e cosa narrata creano deformazioni e sfocature disorientanti, sopraffanno, imprigionano.


Accoppiamenti giudiziosi

La ricerca disperata, l’idea platonica irraggiungibile e perfetta che sta oltre la realtà sensibile, la famiglia come microcosmo di ossessioni e tare che tracimano da una generazione alla successiva appestando i posteri e disegnandone con chiarezza preveggente la fine: sono tutti macigni che schiacciano lo studioso e l’autore, elementi tetragoni e immutabili che impediscono l’astrazione col loro peso, col loro ristagno di vita.

Come in una scultura di Mario Ceroli, il personaggio frastagliato – carne di legno tenero, foresta ambulante – porta il fardello di un concetto astratto sulle spalle e ne viene inchiodato a terra: cubo, sfera o cono, la ricerca interiore diventa una sorta di morbo nelle pagine di Bernhard, un lavoro che dà senso alla vita e alla sua assurdità.

Mario Ceroli, Discorsi platonici sulla geometria – Uomo con cubo (1985-90)

Il suo lavoro si nutre di contrasti: la sporcizia del corpo e la purezza dell’idea, la campagna e l’università inglese, la felicità che culmina nella morte e coincide con la morte, stranamente, inevitabilmente.

Anche i personaggi scolpiti da Ceroli in Discorsi neoplatonici sulla geometria sembrano volersi correggere infinitamente: i loro corpi sono ammassi di legno scabro e sfaccettato, sembrano lottare col peso che trasportano, moderni Atlanti, ma sembrano anche voler raggiungere la chiarezza geometrica e la bellezza proibita di quei solidi che li stanno schiacciando, così diversi e così belli nella loro assurdità asettica rispetto alla confusione del mondo che li ospita.

È il corpo a corpo con l’immane, l’obiettivo finale di ogni correzione:

Cosí le persone a un certo punto della loro vita, e sempre nel momento decisivo della loro vita riferita al punto in questione, si chiedono se devono affrontare l’immane della loro vita o lasciarsi annientare dall’immane prima di affrontarlo.

Così Roithamer si dibatte nell’abbraccio soffocante della sua Austria, amata e odiata, mentre corregge e riscrive il suo opus magnum, lo riduce, lo contrae per rendere le sue asperità simili alla perfezione ideale del suo cono.

È il lavoro di una vita, la scelta ascetica di affilarsi per farsi lama, pensiero puro:

E l’immane è un’opera d’arte, l’opera d’arte della vita, comunque sia l’immane, e ognuno ha la possibilità di arrivarci, perché la sua natura stessa è sempre questa possibili-tà, bisogna affrontarlo e realizzarlo e portarlo a termine solo con tutto il proprio sé. Allora, quando affrontiamo un immane simile, siamo del tutto indifesi e dentro di noi siamo soli con noi stessi e con la nostra idea che è l’immane, e tutto è contro di noi.

Alla fine non resterà nulla eppure ogni cosa sarà perfetta, la correzione sarà assoluta e definitiva.



Correzione

Thomas Bernhard – Adelphi, 2025



Le immagini sopra sono incorporate da Artribune, cui rimandiamo per l’intervista di Alessandra Quattordio al Maestro Ceroli.

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