Prima del post-esotismo, prima della gemmazione di eteronimi e del successo internazionale, Antoine Volodine scriveva fantascienza.
Lo faceva a modo suo, chiaramente, cucendo su misura per il lettore storie sordide e mistiche, capaci di essere allo stesso tempo rigogliose e apocalittiche.
Nel 1987 con uno di questi lavori, Rituel du mépris, si aggiudica anche un riconoscimento prestigioso come il Grand Prix de l’Imaginaire. Poi cambia rotta, s’inventa una corrente tutta sua, si frantuma in una molteplicità di identità parziali e autonome.
Resta però, finalmente anche in lingua italiana, il delirio della Liturgia del Disprezzo, da poco entrato nel catalogo di 66thand2nd con la traduzione di Anna d’Elia.

Difficile dire di cosa parli questo romanzo sottile e abissale, un pastiche di visioni e personaggi che si accalcano e levigano a vicenda mentre si affacciano, come spettatori o come memorie perdute, sulla cornice di un brutale interrogatorio.
Il protagonista, malmenato dalla polizia segreta, è costretto a rievocare il passato, a materializzare i protagonisti e i comprimari della sua infanzia, a partire dal gruppo multiforme e caotico dei suoi zii.
Ognuno ha etnie diverse, diverse usanze e diverse ossessioni: i nomi si ripetono, a volte si confondono perché alla memoria piace mischiare i frammenti, mimetizzarsi nelle omissioni.
Allora ricordiamo, tutti insieme, la squallida alternanza di baraccopoli e periferie, la wasteland che ingloba e moltiplica ogni vita, la multiformità delle creature che circondano il narratore e che si ramificano in parentele e sovrapposizioni sino a perdere completamente significato.

Dado, Limbo or The Massacre of the Innocents, (1958-59)
Ci sono personaggi equivoci, abituati a sopravvivere in un luogo reso deforme dalla guerra e dalle divisioni politiche: zii astuti e zii coraggiosi, zii bugiardi e zii che aiutano a morire. Cos’è la famiglia se non una cartografia della propria personalità, un catalogo di difetti e abilità e paure recondite?
In un circo di elementi grotteschi e poetici, fra ambientazioni seleniche e palafitte precarie, Volodine ci accompagna in una storia buia e rigogliosa come una foresta pluviale, in cui è difficile procedere anche usando il machete, anche volendo fare a pezzi ogni cosa.
Accoppiamenti giudiziosi
Volodine non svela mai i meccanismi nascosti della sua trama: resta sempre una zona fuori fuoco, l’emicrania di un mistero che cambia forma per adeguarsi costantemente alla nostra visuale parziale, per restare sempre celato anche in piena luce.
A prevalere sugli eventi narrati sono i personaggi, le loro storie minuscole e brulicanti, il loro complicato incrocio sullo sfondo di una difficile integrazione, di un’invasione aliena incapace di definire chiaramente vittime e carnefici.
Le stirpi si ibridano, scindono, con violenza rispondono al rigetto di chi li vorrebbe isolare, contenere, debellare.

Allo stesso modo si dibattono sulla tela i personaggi frenetici dipinti da Miodrag Đurić, meglio noto come Dado.
Come Volodine sospeso fra la Francia e l’Est Europa, come lui affascinato dai personaggi bizzarri e dal caleidoscopio della loro obliqua umanità, anche l’artista montenegrino si è cimentato in opere variegate e affollate di dettagli nascosti, che sopraffanno l’osservatore grazie a un massimalismo descrittivo di enorme impatto emotivo.
Nelle sue tele s’incontrano infatti – con stridore e meraviglia – la tradizione e lo sperimentalismo più ardito: come in The Large Farm, esposta al Centre Pompiou di Parigi, il tributo ai placidi dipinti rurali lascia subito spazio all’incubo, permettendo a dettagli mostruosi o assurdi di impossessarsi di tutto lo spazio visivo degli osservatori.
Dovunque c’è morte, stortura, rovina: i personaggi si affollano in paesaggi che sembrano fatti di carne e che nonostante i colori tenui e trasognati non esitano a perseguitare gli osservatori con panoramiche infernali, così ricche da risultare soffocanti.

Come i popoli inventati da Volodine, questa moltitudine eterogenea si scontra e si accoppia, crea monumenti viventi e ottunde i sensi mentre continua ad accrescere la propria massa soverchiante: chi è l’invasore, chi è il carnefice?
Nelle geometrie impossibili di un futuro distorto Volodine ci stordisce e affoga, come in un dipinto di Dado ci lascia visioni, frammenti che sembrano non combaciare, fa arte del nostro stupore, ci disarma, ci conquista.
Bonus
- L’antimuseo virtuale di Dado, con un catalogo di tutte le sue opere.
