Un pizzico di horror, psichedelia quanto basta. Un cucchiaio abbondante di metanarrazione, due pugni di avventura. Aggiungere rospi e cantanti famosi. Frullare, amalgamare. Guarnire con dinosauri a piacere.
Vorrei parlare di questo libro come si parla di una ricetta perché Tony Burgess mi ha insegnato che si può scrivere quello che si vuole: l’autore è sovrano, almeno finché uno dei personaggi non si ribella.
Un po’ Pirandello e un po’ Looney Tunes, Idaho Winter – tradotto da Sara Tuveri per Minimum Fax – è un’esperienza di lettura esilarante e terrificante che rompe le regole basilari della narrazione per trascinare il lettore dentro qualcosa di nuovo, sfrenato e assolutamente folle.
Il protagonista eponimo è una caricatura, il bambino più odiato e vilipeso della storia. Soprattutto è un personaggio, protagonista inconsapevole di un libro edificante estremamente banale, una storiella scritta male da un autore che non ha fantasia e che non sa descrivere il cielo.

Idaho al contrario di fantasia ne ha moltissima: mentre evita le persecuzioni dei suoi concittadini, schiva insulti e pietre, fugge dai bulli che lo perseguitano sempre e dai cani allevati apposta col solo scopo di sbranarlo, sa perfettamente cosa farebbe se fosse lui a comandare.
Niente persecuzioni, niente fughe: solo il caos, sovrano e primigenio, matrice feconda di un complesso reticolato di storie indomabili.
Allora perché non provarci, perché non strappare il velo che divide un autore dalle sue creature, proteggendolo dai parti abnormi della sua stessa immaginazione?
Idaho Winter, con cambi repentini di registro e fondali da bad trip, ci mostra cosa succederebbe se a scrivere la storia fossero i personaggi, costringendo lo scrittore ad adeguarsi alle loro volontà.
Idaho non sa nulla di trama e consequenzialità, è solo un bambino cresciuto con gli occhi pieni di televisione spazzatura e cartoni animati, eppure ha imparato da subito a conoscere la crudeltà, a sopravvivere in un mondo che lo odia senza motivo. E ora vuole vendicarsi.
Accoppiamenti giudiziosi
Mamme-pipistrello assassine, corpi fusi in combinazioni grottesche, pterodattili. La storia scritta da Idaho sembra un quadro di David Nornal.

Come nelle opere del poliedrico artista inglese, infatti, basta concentrarsi su un dettaglio per smarrirsi dentro muove sottotrame che traboccano di idee destabilizzanti e meravigliose.
Fra i personaggi secondari che costituiscono un variegato sottobosco alla narrazione allucinata di Idaho troviamo spunti ricchissimi che l’autore elargisce senza volontà di esplorarli fino in fondo ed esaurirli: li lascia semplicemente al lettore per allargargli lo sguardo oltre i limiti dell’accettabile ed aiutarlo a sospendere la propria incredulità di fronte a un delirio enorme, incoerente e bellissimo.
C’è Madison, innanzi tutto, l’unica bambina che è buona con Idaho, trasfigurata nella seconda parte del libro nell’incarnazione stessa del dolore: chiunque si avvicini a lei viene attratto da una misteriosa forza gravitazionale che lo costringe a piangere, a prostrarsi, infine a diventare un tutt’uno con quel lutto inspiegabile, dipendente per sempre dalla sofferenza.
Ci sono i sopravvissuti che provano ad organizzare una blanda forma di resistenza contro il loro nuovo tirannico Dio, passato repentinamente da vittima a carnefice e non meno crudele dell’autore originale della loro storia sghemba.
C’è, infine, la vigilessa costretta alla disagevole convivenza con il dirigente scolastico che le si è innestato sulla schiena e che ambisce non meno di Idaho al ruolo di narratore: per questo parla, continuamente, come una radio dimenticata accesa di notte, talvolta profetizzando gli eventi che stanno per accadere, talvolta spoilerando i colpi di scena come il più maldestro dei narratori onniscienti.

Tutto questo si contorce, si mescola come fanno le figure di David Normal nei suoi dipinti psichedelici: ognuna ha il suo percorso, la sua trama, ognuna deve fare i conti con la fantasia indifferente dell’autore che l’ha voluta contorta, piegata, malvagia, perseguitata.
Normal e Burgess vogliono stupire, certo, ma anche ampliare in qualche strano modo la coscienza occlusa di chi si trova davanti alle loro opere.
In questo sinistro rigoglio di citazioni e rimandi, l’orrore lussureggiante in cui l’autore finisce prigioniero diventa così un percorso alla scoperta della propria ispirazione, un’immersione nell’interiorità che ogni personaggio potrebbe avere se adeguatamente sviluppato, un tributo fiammeggiante ed esagerato alla forza dell’immaginazione che crea le storie minuscole ed enormi in cui abitiamo ogni giorno.

Rieccomi! A proposito di horror, hai letto “The Resort” di Bentley Little?
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L’ho preso catturato da una recensione positiva che avevo trovato in rete e l’ho sfogliato leggiucchiando le prime pagine… non sono ancora riuscito a farmi un’opinione però, è lì che mi osserva dallo scaffale… tu l’hai già letto? Cosa ne pensi? 😊
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Penso che dovresti tirarlo immediatamente giù dallo scaffale e leggerlo tutto d’un fiato come ho fatto io, perché è davvero bellissimo.
Anche quest’altro libro si legge tutto d’un fiato: https://wwayne.wordpress.com/2023/10/07/scopriro-la-verita-2/. Lo conoscevi già?
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