“Autobiografia di un polpo” di Vinciane Despret

Di polpi e ragni ci parla questo libro inusuale e sottile, di vombati e d’altre meraviglie: sopra ogni altra cosa Vinciane Despret intende però parlarci di scrittura.

È curioso e inattuale che una filosofa della scienza come Despret scelga proprio il mezzo della speculative fiction per obbligarci a riflettere. E altrettanto bizzarra può risultare la scelta – assurda, provocatoria, bellissima – di presentare il tutto come se fosse un trattato accademico, con tanto di note e riferimenti bibliografici.

Eppure, sotto la cortina di arabeschi in stile universitario e carteggi istituzionali, si muovono storie di grande potenziale narrativo oltre che filosofico, che ereditano da una nobile antenata come Ursula K. LeGuin l’idea provocatoria e affascinante che la comunicazione e in particolare modo la scrittura non siano appannaggio del genere umano.

Walton Ford, Eureka (2017)

Cominciamo con i ragni e con il loro rapporto singolare con le vibrazioni e con l’acufene che sembra colpire i ricercatori che scelgono di studiarli, quindi proseguiamo verso i vombati con le loro strane muraglie di feci cubiche e infine ci immergiamo con i polpi nell’abisso mimetico della loro danza e dei loro inganni.

Sono esperimenti mentali, sono provocazioni? Sono sicuramente storie, che Despret sceglie di raccontarci con l’ausilio di studiosi veri e inventati e soprattutto grazie a un’ipotetica società di terolinguistica, termine mutuato dalla stessa LeGuin che indica “la disciplina scientifica del terzo millennio che studia le storie e i messaggi che gli animali raccontano, tramandano”.

Despret nel suo stile professorale ci permette di entrare nei gangli di questa scienza meravigliosa e inesistente, costeggiando i dissidi e le scuole di pensiero, per provare ad addentrarci in un mondo di ipotesi e paradossi stranamente plausibili.

Walton Ford, The Island (2009)

È davvero fantascienza immaginare che i polpi e i ragni abbiano metodi di comunicazione diversi dai nostri?

I tre racconti che compongono questa singolare raccolta ci portano a demolire alcuni dei punti deboli più macroscopici della fantascienza classica: l’antropomorfismo. Riflettendo sulla diversità riscontrabile negli abitanti dello stesso pianeta, infatti, si capisce immediatamente quanto sia assurda e volgare l’idea che animali provenienti da pianeti e sistemi solari lontani utilizzino i nostri stessi metodi di comunicazione.

I polpi di Vinciane Despret, ad esempio, parlano fra di loro con la loro pelle mutevole e scrivono con l’inchiostro, i vombati prediligono un metodo di comunicazione olfattivo e tattile che passa attraverso le complesse architetture delle loro feci.

Walton Ford, The Sensorium (2003)

Accoppiamenti giudiziosi

Ciò che sopra ogni altra cosa riesce bene a questi racconti è calarci nei panni degli animali. Accettare che esistano indipendentemente da noi, che abbiano un loro modo di comunicare, una loro vita distinta dalle esigenze e dalle ossessioni dell’umanità.

Partendo da queste considerazioni viene naturale interrogarsi sul loro futuro e su una maggiore comprensione del loro presente. A che livello riescono a comunicare? Potranno mai avere una loro società?

Despret ci aiuta a deviare l’attenzione dall’essere umano, a considerarlo solo uno dei molti elementi che si trova ad esistere sul pianeta Terra in questo momento: non più il vertice di una piramide (evolutiva o alimentare), non più l’unico soggetto in una distesa sconfinata di oggetti.

Nel terzo racconto, in particolare, oltre all’enigma della decrittazione di un testo scritto di un polpo, ad emergere è piuttosto l’esigenza dei protagonisti di comprendere il modo di pensare di un polpo: le sensazioni che derivano da un diverso ambiente, ma anche la percezione del mondo che deriva da un tipo di corpo e di sensazioni completamente distinto dal nostro.

Chi può aiutarci a vedere il mondo con gli occhi degli animali? Forse un artista come Walton Ford.

Walton Ford, The Tigress (2013)

Anche in questo caso lo stile è volutamente un tributo a qualcosa di analitico, più simile alle illustrazioni naturalistiche di un’enciclopedia che non a un quadro. Come nei lavori di Despret, però, bisogna andare oltre la forma per poter cogliere l’ironia e la luminosità di un lavoro artistico che si prefigge l’obiettivo di rendere protagonisti gli animali che normalmente stanno sullo sfondo.

Leoni e scimmie diventano così simmetrici corrispettivi dell’umana miseria o dell’eroismo delle nostre leggende bipedi, colti in pose e situazioni tali da esigere un ribaltamento di prospettive: al centro della pagina, in una resa dettagliata e scientifica, sono gli animali a guardarci e imitarci per provare a farci osservare dall’esterno ciò che deve sembrare l’umanità alle altre specie.


Bonus

  • Un’interessante intervista di Riccardo Venturi all’Autrice, su Antinomie

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