“Grande nudo” di Gianni Tetti

Ho sempre pensato che la Sardegna fosse il luogo perfetto per un’apocalisse. Sarà forse per i suoi legami visibili con un’antichità che non sembra mai trascorsa, la stratificazione culturale che ha attraversato le sue coste, il mistero dell’entroterra, i paesaggi crudeli e magnifici in cui la natura prende presto il sopravvento sulle costruzioni umane. Sarà forse anche per il suo passato più recente, le basi americane, l’industria mineraria, le leggende nere.

L’impressione che ne ricava chi la osserva dal continente è quella di una terra orgogliosa e indomita che stando fuori dal tempo riesce a diventare eterna: un posto dove passato e presente si toccano e confondono e perdono di significato.

È così anche per “Grande nudo” di Gianni Tetti, uno dei migliori romanzi italiani degli ultimi anni. Come la terra da cui proviene il suo autore, anche il libro è aspro e frastagliato, così variegato da diventare inaccessibile eppure meraviglioso nella sua unicità, selvatico, rigoglioso.

La storia che ci racconta è quella dell’apocalisse, in un certo senso: un collasso generale del genere umano che non parte dall’America o da una strana astronave venuta da lontano, ma dall’interno di ciascuno di noi, dal torbido che ci ristagna in testa e si accumula sino a tramutare la realtà in un incubo e l’incubo in un rituale.

I personaggi che popolano questa Sardegna liminale sono comuni eppure straripanti, ognuno con il suo segreto e le sue colpe da celare, le sue perversioni: ci sono Signor Mario che fa il forestale ma preferisce essere il padrone di un altro essere umano, Casino il muratore che ruba e pesta e minaccia, il soldato e il gigolò che sono fratelli ma sembrano sconosciuti, c’è il prete che impazzisce per una specie di bambola gonfiabile giapponese, ci sono personaggi minuscoli e spiacevoli, misogini, razzisti, egoisti, traditori, ci sono i cani che spariscono tutti insieme e ritornano cambiati.

Nabil Kanso, The Split of Life. The Master’s Rhythm (1985)

Tetti alterna le trame come in un arazzo allucinato: comincia la sua storia multiforme come tragedia e poi la sfuma in commedia, quindi sprofonda in un baratro gore, attraversando pagine mistiche, pagine crudeli, pagine grottesche con lo stesso torrenziale flusso di parole.

Potremmo stare ore a disquisire sull’eccesso, sul grandguignolesco e sulla follia di alcuni passaggi ma abbiamo tutti di meglio da fare: c’è l’apocalisse fuori che preme sulle finestre e dobbiamo farla entrare, presto.

Ogni elemento alla fine troverà una collocazione o più d’una nel complesso meccanismo corale che fa muovere il romanzo: ogni riferimento sparirà per fare posto ad altro oppure esploderà in diramazioni più sottili, più precise. L’importante è riuscire ad abbracciare una narrazione polifonica così dissonante da fare male e riuscire a entrare in comunione con il progetto grandioso che vi sta dietro.

I cani spariscono, i cani ritornano. Maria detta la cagna, bellissima starlette televisiva, diventa schiava, eroina vendicatrice, leggenda, poi sprofonda in un inferno terreno e riemerge solo quando la terra abbraccia senza nascondersi la sua natura infernale. Diventa cagna e Madonna, dea madre e patrona, santa profana.

Parallelamente, mentre una Sassari stremata e postmoderna di trincera dietro barriere e pregiudizi, isola nell’isola, un pescatore dagli occhi gialli si macchia di un crimine vergognoso e fuggendo si riscopre majarzu, stregone, al centro di un movimento enorme e disperato.

Attorno a loro il mondo si contorce su una caricatura di sé stesso, in cui i vivi si accaniscono sui vivi e l’assurdo inventato soppianta progressivamente l’assurdo quotidiano con le sue figure ridicole e le sue voci deliranti.

Nabil Kanso, Living Memory / Unforgotten horror (1994)

Accoppiamenti giudiziosi

Tetti scrive una versione molto personale e originale di un tema ultimamente abbastanza popolare, quello della fine dei tempi.

Nella sua Sassari il crollo della civiltà parte da una serie di attentati, dalla mancanza di fiducia, dallo sgretolarsi delle istituzioni in un ambiente ultrarealistico e spietato nelle sue ossessioni e nella sua innata propensione alla sopraffazione.

Il suo armageddon non è biblico eppure si sviluppa attorno a un libro, quello redatto da tutti i sopravvissuti nella loro lunga marcia verso il futuro: un testo proibito e sgrammaticato, scritto da chiunque ne avesse voglia, confuso e profetico come merita d’essere il contrario esatto di ogni grandiosa cosmogonia.

La fine e l’inizio, il movimento e la stasi, il progresso e il regresso sono solo alcuni degli opposti che delineano scontrandosi il netto chiaroscuro della vicenda narrata, destinata a precipitare e risalire più volte in un turbinare di storie e personaggi, scavandosi una strada verso l’epilogo come un proiettile attraverso la carne e il sangue, le viscere, la merda dell’umanità intera.

Altro tema centrale è la contrapposizione fra cane e padrone, che fa da sfondo in diverse declinazioni a tutto l’arco narrativo: ben incarnato nella figura di Maria, il cui nome viene portato lontano dal vento, come una promessa di redenzione, il rapporto di forza complicato fra chi comanda e chi ubbidisce sembra proprio l’elemento più fragile, destinato a far collassare l’edificio ingombrante della nostra società e delle sue regole inique.

Nabil Kanso, Scorching Sparks (1983)

Il contrasto elevato e le prospettive pulp non stonano mai in una vicenda che si eleva in alcuni momenti a picchi di delicato lirismo, alternando paragrafi minimalisti a quadri di soverchiante ricchezza, ma anzi riescono a dar vita a un amalgama potente e vivido, allo stesso tempo corposo e sgargiante come i dipinti di Nabil Kanso.

L’artista libanese-statunitense, infatti, nella sua lunga carriera si è dedicato come Gianni Tetti nel suo “Grande nudo” ai temi della violenza e della sopraffazione, esplorando con un tratto immediatamente riconoscibile gli eventi a lui più vicini per parlarci dell’orrore che si cela dentro ogni uomo.

Significative in questo senso sono soprattutto le serie Cluster e Apocalypse, che ritraggono la disgregazione dei corpi umani e la fine dei tempi con il suo personalissimo stile in bilico fra storiografia e delirio, con un’attenzione particolare ai risvolti delle guerre che punteggiano il nostro passato e che minacciano di troncare senza preavviso il nostro futuro.

Fra profezia e autoanalisi, nei dipinti di Kanso e in “Grande nudo” si possono rintracciare riferimenti precisi a forme umane e animali, a vicende minuscole, ma a travolgere lo spettatore è soprattutto l’insieme, la totalità di una visione che riesce a riunire in sé orrore e speranza e a comprendere l’ambivalenza di ogni colore, luce, parola con cui si trova a trattare.

Tetti ci butta addosso molto materiale e non si lascia mai frenare dalle convenzioni o dalle mode, così come Nabil Kanso sceglieva di raccontare a modo suo le atrocità della guerra in un ambiente artistico dominato da minimalismo e pop art: osservando i loro lavori si percepisce soprattutto l’intenzione di inseguire qualcosa di più grande, una presa di coscienza e un orgoglio che riescono a rendere evidente, senza mai dirlo apertamente, cosa significhi rimanere umani.

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